Chiesa, Tradizione, “indietrismo”.  La cattiva teologia alla base della rivoluzione modernista di Francesco

 

  1. Le interviste in aereo di Francesco: un metodo per una rivoluzione “morbida”

Da quando è diventato papa Bergoglio ci ha abituato a sentire le cose più stravaganti durante i suoi numerosi viaggi aerei, viaggi durante i quali ama essere intervistato dai giornalisti che lo accompagnano. Il contesto decisamente anomalo, l’alta quota, le domande improvvisate e le ancor più improvvisate risposte del pontefice, tolgono ovviamente qualunque valore di insegnamento, anche solo molto vago, alle cose che vengono dette, e, purtroppo, tolgono spesso anche ogni serietà alle risposte papali.   Purtroppo però il pontefice sembra aver capito molto bene che, nonostante ciò che dice sia, in sostanza, privo di alcun valore magisteriale, la risonanza mass-mediatica che le sue esternazioni ottengono è, per così dire, equivalente a quella di un pronunciamento ex cathedra.   Fra i fedeli, inevitabilmente, non molti hanno i mezzi per sottili distinzioni teologiche e la maggior parte prende come una verità assoluta e indiscutibile ciò che viene detto alla televisione o scritto sui giornali, a maggior ragione se a parlare è il papa.

Ecco che si ha così la ricetta perfetta per dare corso a una rivoluzione permanente nella Chiesa, riuscendo nello stesso tempo a distruggere la dottrina di sempre e a negare di stare facendo proprio questo; infatti l’informalità e l’apparente leggerezza delle interviste in aereo permettono al papa una sorta di “negabilità plausibile”, ovvero gli permettono di dire e non dire, di fare affermazioni gravissime, che poi può sempre sostenere che sono state fraintese.  Del resto sappiamo che al papa argentino interessa soprattutto “avviare processi”, non “confermare i fratelli nella fede”.

Ecco dunque che durante il viaggio di ritorno dal Canada, dove avrebbe fatto un incomprensibile “pellegrinaggio penitenziale”, chiedendo perdono per la colonizzazione spirituale messa in opera, a suo dire, dai missionari cattolici, papa Francesco ha toccato diversi temi. Vediamo i più importanti  (fonte: “Sull’aereo. Il Papa: «L’indietrismo è un peccato. Genocidio in Canada? Sì, ci fu»”, https://www.avvenire.it/papa/pagine/la-conferenza-stampa-del-papa-al-ritorno-dal-canada,  31-07-2022)

Innanzitutto il Papa ha parlato della possibilità delle sue dimissioni con una tale tranquillità da far pensare che la cosa sia senz’altro nell’ordine delle possibilità più concrete. Francesco ha usato un’espressione molto prosaica per alludere all’eventualità delle dimissioni (“La porta è aperta”), per così dire sdrammatizzando il fatto. Tutto lascia pensare che si sia di fronte a una rivoluzione dolce, o in guanti  bianchi, che mira lentamente a rendere fatto scontato e sempre più comune quello del papa che dà le dimissioni.  Sappiamo infatti che un nutrito manipolo di “papi emeriti” rappresenterebbe, col tempo, un potente incentivo per passare a una gestione para-sinodale della Chiesa, svuotando il papato della sua autonomia e di ogni vera autorità. Né va qui dimenticato che l’odio per il papato, per la figura e il ruolo del Papa, come tradizionalmente inteso, così come l’odio per la  romanità della Chiesa, sono tratti caratteristici di ogni forma di modernismo.

Vediamo ora alcuni punti dell’intervista. Citeremo diverse parti del testo, facendole seguire da un breve commento.  Le sottolineature sono sempre nostre.

 

  1. Il tema della “colonizzazione” cattolica dei popoli indigeni

Domanda: Sul fatto che alcuni indigeni attendevano una sua parola sulla Dottrina della scoperta che avrebbe giustificato teologicamente la colonizzazione forzata delle Americhe da parte delle potenze cattoliche”

Risposta: “Credo che questo è un problema di ogni colonialismo, anche oggi le colonizzazioni ideologiche hanno lo stesso schema. La coscienza della uguaglianza umana è arrivata lentamente, e dico la coscienza perché nell’inconscio ancora c’è qualcosa. Sempre noi abbiamo – mi permetto di dirlo – come un atteggiamento colonialista di ridurre la loro (dei nativi, ndr) cultura alla nostra. È una cosa che ci viene dal modo di vivere sviluppato nostro, che delle volte perdiamo dei valori che loro hanno”.

Si noti che Francesco equipara la Conquista del Nuovo Mondo, provvidenzialmente operata dalla Spagna e dal Portogallo, che permise ai missionari di portare il Vangelo a popoli vittima da millenni delle più atroci superstizioni, ad altre forme di “colonizzazione ideologica”, termine che ha usato in altre occasioni per alludere al gender e al tentativo di imporlo a tutti in Occidente. Ora è evidente che definire la secolare azione di eroici missionari, che non raramente hanno conosciuto il martirio, volta a convertire i  popoli dominati dall’impero Azteco e dall’impero Incas, alle “colonizzazioni ideologiche” contemporanee è cosa assurda e, in certo senso, blasfema.  Sembra infatti sfuggire al pontefice regnante che fra il diffondere o imporre un’ideologia politica moderna  (si pensi al comunismo) e il portare la conoscenza del Vangelo e della fede cristiana a popoli pagani e offrire loro la possibilità di convertirsi e di chiedere il battesimo vi è un abisso: si tratta di cose completamente diverse, fra le quali è offensivo stabilire un qualsiasi rapporto di analogia. E’ Nostro Signore stesso che ha ordinato formalmente agli Apostoli di annunciare la Buona Novella a tutti gli uomini:

Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura.  Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”” (Mc, 16, 15-16).

Purtroppo il papa più volte ha definito con disprezzo come “proselitismo” la normale e doverosa attività missionaria ed evangelizzatrice svolta dalla Chiesa nel corso dei secoli, dimenticando sempre di ricordarsi come in gioco vi sia la sorte dell’anima dopo la morte, la possibilità drammatica e fatale di salvare la propria anima o di venir dannati al fuoco eterno dell’inferno. Nella Chiesa uscita dal Concilio questo tema è completamente assente e, in Francesco in particolare, ogni tensione escatologica è del tutto rimossa; in lui la Chiesa appare ridotta a compiti puramente intramondani.

Inoltre viene fatto anche un altro errore: sovrapporre e confondere la conquista politico-militare del Sud America e del Centro America, l’epopea cioè dei conquistadores, dove, in mezzo ai tanti eventi positivi, non mancarono abusi, ingiustizie e violenze commesse a danno dei popoli indigeni; con l’eroica diffusione del Vangelo da parte dei missionari e la lenta opera di conversione degli indios, che, fra l’altro, scelsero in massa di farsi battezzare del tutto spontaneamente.

Francesco prende anche un’incredibile abbaglio spiegando la “colonizzazione” che la Chiesa avrebbe imposto alle popolazioni dei nativi americani con il “ritardo” culturale dell’Europa che avrebbe scoperto tardi il concetto di eguaglianza:   “La coscienza della uguaglianza umana è arrivata lentamente”.  Ma, occorre domandarsi, a che concetto di “eguaglianza” intende riferirsi il Papa? Se si riferisce al concetto astratto di eguaglianza sviluppato dalla cultura illuminista e dai circoli massonici nel Settecento e posto al centro della Rivoluzione francese, allora ha ragione: questo concetto, intimamente anticristiano, non era noto nel Cinquecento, quando ha inizio la conquista del Nuovo Mondo. La Chiesa nel Cinquecento conosceva un altro concetto di eguaglianza, quello insegnato dalla fede cristiana che rivela come ogni uomo sia figlio di Dio e sia chiamato a convertirsi, a ricevere il battesimo, ad amare Dio e a santificarsi e, così, a salvare la propria anima. Altre forme di eguaglianza sono alla base delle ideologie moderne, in particolare del comunismo, e negano in radice la concezione soprannaturale cristiana.  E’ quindi semplicemente privo di senso criticare la cristianizzazione del continente americano in nome dell’eguaglianza fra gli uomini e fra i popoli: la Chiesa ha infatti il dovere di portare Cristo a tutti gli uomini, onde essi possano salvarsi.  Dalle parole del Papa sembrerebbe di capire che reputa non necessario avere la fede e ricevere il battesimo per salvarsi.

 

  1. Il papa si flette alla “cancel culture”

Tutti sanno che, a partire dagli Stati Uniti, sta diffondendosi nel mondo occidentale una forma spaventosa di nichilismo culturale che consiste nell’attaccare tutto ciò che è sorto in Europa per diffondersi nel corso dei secoli in tutto il mondo. Ovunque è un riscoprire i nativi, i popoli indigeni originari e le loro usanze, i loro cibi, le loro religioni. Tutto ciò che viene dalla tradizione europea e cristiana è male: simbolo di questo delirante movimento è l’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo, colpevole di aver scoperto l’America; allo stesso modo, ad esempio in Canada, si sono bruciate numerose chiese (come del resto in Cile e in altri paesi sudamericani). L’indigenismo regressivo  e la cultura “woke”, veicolati da movimenti come “Black Lives Matter” e “Mee Too”, assorbono anche molti elementi del mondo ideologico LGBT e dell’ecologismo e appaiono come le avanguardie di una nuova religione secolare, intimamente anticristiana ed estesa a livello mondiale grazie all’appoggio della grande finanza apolide.

Questa nuova ideologia esige che le autorità e le istituzioni che rappresentano oggi  ciò che fu l’Occidente si scusino, in pratica, di tutta la storia europea moderna, in particolare della conquista del Nuovo Mondo e di ogni altra successiva fase di espansione coloniale.

Francesco adotta la stessa logica quando fa affermazioni come la seguente: “Sempre noi abbiamo – mi permetto di dirlo – come un atteggiamento colonialista di ridurre la loro (dei nativi, ndr) cultura alla nostra”.  Nella sua visione annunciare il Vangelo e lentamente umanizzare i popoli indigeni, sradicare i costumi più barbari dei pagani e far comprendere loro il valore della persona, la loro dignità di figli di Dio, significa distruggere la loro cultura. Viene da domandarsi, per assurdo, se il pontefice avrebbe ritenuto meglio che i missionari cattolici convertissero alla fede cristiana gli aztechi lasciando però immutato l’uso di compiere sacrifici umani con migliaia di vittime. Inoltre la storia insegna che la Chiesa ha sempre saputo conservare tutto ciò che di buono una civiltà aveva prodotto e incorporarlo nel suo patrimonio culturale: si pensi a come utilizzò e perfezionò il diritto romano o la filosofia di Aristotele. Ma non tutto in una società pagana va conservato, evidentemente: tutto ciò che ripugna alla retta ragione, che offende la legge naturale o che ostacola la fede è sicuramente cosa cattiva ed è un bene che, col tempo, venga sradicato dai  costumi e dai principi superiori che la Chiesa può insegnare.

Per Francesco invece gli indios sono migliori degli occidentali colonizzatori, schiavi dello sviluppo tecnologico, perché sanno “ben vivere” (questa locuzione è una sorta di fissazione del pontefice, che la usa molto spesso quando parla degli indigeni), a differenza dei colonizzatori che giudica troppo cerebrali: tutte cose più o meno già viste nei documenti legati al Sinodo per l’Amazzonia.    Infine cita un caso di approccio colonialista attuale un po’ particolare, quello dei Rohingya:

“(…) penso al caso dei Rohingya nel Myanmar: non hanno diritto di cittadinanza, sono di livello inferiore. Anche oggi”. Ora si noti che se si vuole cercare con pazienza e con attenzione  il senso di questa citazione si scopre che i Rohingya sono una minoranza islamica sita in Birmania (Myanmar) in fortissima tensione con il governo centrale e con la maggioranza buddista. Sono una popolazione attenzionata dal governo U.S.A. per alimentare le tensioni in un paese che sta stringendo rapporti sempre più stretti con la Cina.  Vi sono grandi progetti infrastrutturali cinesi che permetterebbero alla Cina di evitare per i suoi traffici di passare per l’insidioso stretto di Malacca. Si pensi a quanti casi esistono nel mondo di popolazioni oppresse ma, stranamente il Papa non parla se non di un tema apparentemente periferico, ma in realtà geostrategicamente importante per gli U.S.A..

Fra l’altro in passato aveva anche fatto uno stranissimo e improbabile viaggio proprio in Myanmar, dove la comunità cattolica è assolutamente trascurabile, sempre per attirare l’attenzione sui Rohingya. Insomma il papa sembra molto allineato, non sappiamo se intenzionalmente o meno, agli interessi del Dipartimento di Stato americano, piuttosto che al bene della Chiesa.

 

  1. Sulla possibilità di uno sviluppo della dottrina cattolica riguardo agli anticoncezionali.

Dopo molti altri temi, l’intervistatore tocca uno dei cavalli di battaglia dell’ala modernista o ultra-progressista all’interno della Chiesa fin dai tempi dell’enciclica “Humanae Vitae”, ovvero il tema dell’apertura agli anticoncezionali da parte della Chiesa, tema che fu, fra l’altro, rilanciato dal gesuita cardinal Martini. Ecco la risposta del Papa:

 “Questa è una cosa molto puntuale, ma sappiate che il dogma, la morale è sempre in una strada di sviluppo, ma di sviluppo nello stesso senso. Per lo sviluppo teologico, o dogmatico, c’è una regola che è chiarissima e illumina. Quella di Vincenzo de Lerin nel X secolo: dice che la vera dottrina progredisce “ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate” (consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età) e per questo che il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione. Non si può fare teologia con un “no” davanti, poi sarà il magistero a dire “no”, ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, perché i teologi ci sono per questo e il magistero deve aiutare a capire i limiti”.

Qui abbiamo già il consueto miscuglio di verità ed errore che è tipico del modernismo, ma di Francesco in modo particolare: si fa appello a un principio corretto, per distorcerlo subito dopo in modo gravissimo. Infatti se, nella sostanza, è corretto il riferimento a San Vincenzo de Lerins, se ne trae immediatamente dopo la conseguenza più sbagliata, ovvero che “non si può fare teologia con un “no” davanti”, come a dire che i teologi devono essere integralmente liberi, salvo poi essere fermati, eventualmente, dal Magistero. Ciò è falso, perché di fronte a un dogma (e la legge morale naturale, o legge di natura, va ricordato, fa parte del dogma) il teologo non è libero di sviluppare riflessioni che lo contraddicano o lo neghino. Dunque si può sì crescere nella comprensione del dogma, ma “eodem sensu, eademque sententia”, per usare il linguaggio di san Vincenzo.  Per fare un esempio si può senz’altro approfondire il dogma della divinoumanità di Gesù Cristo, ma senza mai alterare, ridurre o negare  il dogma stesso (ad esempio affermando che la divinità di Cristo va intesa  come un’espressione solo simbolica atta ad esprimere quanto l’uomo Gesù, nella sua santità, si sentisse unito a Dio…).  Pecca gravemente il teologo che, in nome di una mal intesa libertà, osa spingersi contro la Tradizione perenne della Chiesa e  negare uno o più articoli di fede: il teologo infatti non ha il diritto di proporre delle eresie e ha, viceversa, l’obbligo di conformarsi all’insegnamento della Chiesa, al suo Magistero ordinario universale. Solo “in dubiis libertas”, ovvero solo nelle materie che la Chiesa non ha definito e che ha lasciato aperte alla discussione vi è libertà, sempre comunque senza ferire, anche solo indirettamente, altri elementi del patrimonio dottrinale. E’ famosissima la formula del Commonitorium, che dovrebbe guidare ogni teologo in buona fede nelle sue ricerche:  “È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto“.

 

  1. La distruzione del concetto di “tradizione” operata dal Papa

Sul problema dell’anticoncezionale, so che è uscita una pubblicazione su questo e altri temi matrimoniali. Sono gli atti di un congresso (AA.VV., Etica Teologica della Vita, Atti del Congresso della Pontificia Accademia per la Vita, Libreria Editrice Vaticana, Roma, giugno 2022, n.d.r.). Nel congresso ci sono le ponenze, poi discutono tra loro e fanno le proposte. Questi che hanno fatto questo congresso hanno fatto il loro dovere perché hanno cercato di andare avanti nella dottrina, ma in senso ecclesiale, non fuori. Poi il magistero dirà: sì va bene, o no non va bene. Ma tante cose sono cambiate. Pensa alle armi atomiche, oggi è dichiarato ufficialmente che l’uso e il possesso delle armi atomiche è immorale. Pensa alla pena di morte: io posso dire che siamo vicino all’immoralità lì, perché la coscienza morale si è sviluppata bene.

Quando il dogma o la morale si sviluppa, sta bene, ma in quella direzione con le tre regole di Vincenzo di Lerins: una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero è una Chiesa che va indietro e questo è il problema di oggi di tanti che si dicono tradizionali. Non sono tradizionali, sono indietristi, vanno indietro senza radici: “sempre è stato fatto così”, “il secolo scorso è stato fatto così”. E l’indietrismo è un peccato, perché non va avanti con la Chiesa. Invece la tradizione, diceva qualcuno, è la fede viva dei morti, invece per questi indietristi che si dicono tradizionalisti è la fede morta dei viventi. La tradizione è la radice di ispirazione per andare avanti nella Chiesa. L’indietrismo è andare indietro, l’indietrismo è sempre chiuso. È importante capire bene il ruolo della tradizione, che è sempre aperta, come le radici dell’albero. Gustav Mahler diceva che la tradizione è la garanzia del futuro, non è un pezzo di museo. Se tu concepisci la tradizione chiusa, questa non è la tradizione cristiana”.

Dunque qui Francesco mette molta carne al fuoco, ma il suo pensiero è chiarissimo, come è chiarissimo l’uso arbitrario che fa del nome di san Vincenzo di Lérins. Notiamo come non risponde direttamente all’interlocutore, ma fa osservare che in campo morale nella Chiesa molte cose sono cambiate: prima si ritenevano legittime   le armi atomiche e la pena di morte, ma adesso le si considera immorali “perché la coscienza morale si è sviluppata bene”.  Nel contesto aperto dalla domanda ciò equivale a dire (ovviamente in modo implicito e indiretto) che anche circa la contraccezione prima la Chiesa la considerava gravemente immorale, ma la coscienza morale potrebbe svilupparsi bene anche in questo caso e spingere la Chiesa ad affermare che è lecita.

In sostanza il modo allusivo di parlare del Papa non lascia dubbi sul fatto che un cambiamento della dottrina della Chiesa su questo delicatissimo tema gli appare come possibile e, forse, auspicabile. Il mondo da decenni lotta perché la Chiesa ammetta la liceità  degli anticoncezionali (per chi non crede ricordiamo che nulla è più assurdo dell’idea che i coniugi  si aprano totalmente alla vita, non ponendo mai ostacoli atti a impedire un nuovo concepimento) e  la teologia morale cattolica in larghissima misura, già ai tempi della pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae (1968), aveva aperto alla possibilità di ammetterla come lecita.

Ma, prosegue il Papa, il criterio di uno sviluppo positivo del dogma è che sia “ecclesiale”, dove, lo sappiamo da tanti suoi precedenti interventi, “ecclesiale” non significa coerente con l’insegnamento di sempre della Chiesa, ma riflesso del sentire del popolo di Dio odierno, in base al principio secondo il quale “il pastore deve avere l’odore delle pecore” e deve, in ultima istanza seguire e non guidare le pecore stesse.  In base al principio modernista sopra enunciato (che è anche pesantemente debitore a diverse istanze tipiche della “teologia della liberazione” sudamericana, la vera, segreta fonte di ispirazione del Papa), la realtà di fatto deve prevalere su qualunque principio o norma; ad esempio se il matrimonio tradizionale è in crisi e ci sono molte coppie di conviventi non sposati o divorziati, occorre che la teologia morale se ne faccia una ragione e si adegui, nella sostanza, alla nuova realtà che ha di fronte (è il caso clamoroso di Amoris Laetitia). Come nel pensiero dialettico hegeliano, è vero ciò che si impone nel presente, ed è vero perché sconfigge le morte forme di rappresentazione della verità proprie del passato: ciò che è reale è razionale.

Questa visione errata e profondamente lacunosa di Chiesa, di magistero, di Tradizione ha come suo fondamento remoto i documenti sulla Chiesa del Concilio Vaticano II (soprattutto Lumen Gentium e Gaudium et Spes) e, come fondamento prossimo, la loro interpretazione data da Benedetto XVI nel famoso Discorso alla Curia Romana del dicembre 2005,  discorso nel quale la continuità della Chiesa non era più presentata come dipendente dalla immutata fedeltà al Depositum Fidei, ovvero dalla fedeltà alla dottrina sempre creduta e insegnata, nel mutare delle epoche e dei tempi storici; ma come legata all’unicità del soggetto-Chiesa, che rimane lo stesso pur nel mutare degli elementi dottrinali (che quindi si sottintende possano evolversi o subire modificazioni).  Francesco è buon allievo del Concilio e del post-Concilio nell’aderire a questa visione non-cattolica di Tradizione, presentata come un insieme di insegnamenti grazie ai quali (e sul fondamento dei quali) la Chiesa “nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio”  (Dei Verbum, 8). Frase ambigua e gravemente erronea, che lascia pensare che la Rivelazione non sia ancora completa e qualcosa possa esserle aggiunto (visto che si deve tendere “incessantemente alla pienezza della verità divina”!).  Questo principio personalista e modernista per il quale la verità non è qualcosa di dato, di immutabile e immodificabile (come espressione e riflesso dell’eternità e dell’immutabilità di Dio stesso), ma è qualcosa che occorre cercare nel trascendimento continuo di quanto già conosciuto e di quanto da sempre insegnato dalla Chiesa, permette a Francesco di sentirsi a un tempo fedele alla “chiesa” e al suo insegnamento passato e, al contempo, aperto alle innovazioni più rivoluzionarie e alla manomissione del dogma. Questo errore nel concepire il concetto di Depositum Fidei e di Tradizione si sovrappone in Francesco a un’altrettanto erronea adesione al concetto di Chiesa come “popolo di Dio” (vedi Lumen gentium), contrapposto a quello tradizionale della Chiesa come Corpo mistico di Cristo. Ne consegue una visione egualitaria, a-gerarchica e democratica della Chiesa, dove la stessa gerarchia, la Chiesa Docente, tende a sottomettersi al “popolo di Dio”, con il quale si confonde.  In questa prospettiva modernista la gerarchia non deve più guidare la Chiesa discente e vigilare perché sia insegnata e appresa la sana dottrina, ma deve farsi umile interprete di quanto di nuovo “il popolo di Dio” manifesta come verità di fede nel tempo presente. L’evoluzione eterogenea del dogma diviene così, da segno certo di eresia, segno di fedeltà allo Spirito che illumina il popolo dei fedeli prima e più della gerarchia. Questa inversione completa delle idee ortodosse di fede, di Chiesa, di insegnamento non può che sfociare nella giustificazione dei peggiori tradimenti della fede cattolica e nella celebrazione dell’errore e della sovversione dottrinale.

 

  1. Il nuovo insulto inventato dal Papa per i cattolici fedeli a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato: “indietrismo”

Sulla base dei gravi errori sopra richiamati, diventa inevitabile un attacco molto violento ai cattolici fedeli a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato, volgarmente detti “tradizionalisti”.

Rileggiamo la dura accusa del Papa: “ (…) una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero è una Chiesa che va indietro e questo è il problema di oggi di tanti che si dicono tradizionali. Non sono tradizionali, sono indietristi, vanno indietro senza radici: “sempre è stato fatto così”, “il secolo scorso è stato fatto così”. E l’indietrismo è un peccato, perché non va avanti con la Chiesa”.

Il passo è chiarissimo, ma va decodificato, va tradotto dal lessico ambiguo di Francesco, in un linguaggio più chiaro:

  1. il pensiero della Chiesa deve svilupparsi in senso ecclesiale. A parte l’espressione tautologica (Chiesa/ecclesiale) il senso è: il dogma  può evolversi anche in modo eterogeneo, purché sia fedele espressione del sentire del “popolo di Dio”, ovvero di ciò che emerge nei fedeli nel tempo presente  come desiderio o esigenza, secondo il principio modernista per cui la fede sorge dall’inconscio delle persone come sentimento indistinto e soggettivo che deve prendere lentamente forma esplicita. Le formule dogmatiche non sono che temporanee e precarie stabilizzazioni di questo sentire (si veda Pascendi).
  2. Una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale (ovvero una Gerarchia che non si lascia guidare dal “popolo di Dio” e dalle sue istanze sempre mutevoli) è una Chiesa che va indietro, ovvero che cessa di obbedire alle “pecore”, al popolo, e che pretende di imporre vecchie norme morali e vecchie formulazioni dogmatiche in modo rigido, come se fossero essenze sovrastoriche, sottratte al fluire del tempo e trascendenti l’emersione continua di novità -suscitate dallo Spirito- nel tempo presente.

Per Francesco il presente è il regno dell’immanenza totale e senza residui della verità (e dunque di Dio stesso) fra gli uomini. L’umanità in marcia nella storia diventa così, panteisticamente, la manifestazione ultima, almeno implicitamente,  di Dio stesso. La verità e Dio quindi divengono, non trascendono l’ordine storico e mondano. In ultima istanza l’uomo stesso è pensato  come divino, visto che produce la verità e la pone in essere, la fa diventare storia e la impone nel presente.

Chi rimane attaccato alle morte forme che in passato ha assunto la verità insegnata dalla Chiesa non è un “tradizionalista”, è un “indietrista” (“Non sono tradizionali, sono indietristi, vanno indietro senza radici: “sempre è stato fatto così”, “il secolo scorso è stato fatto così”. E l’indietrismo è un peccato, perché non va avanti con la Chiesa”).

Gli “indietristi” vengono presentati dal Papa come nevrotici affetti da una immotivata nostalgia  e da un insensato attaccamento al passato in quanto passato, quasi dei feticisti di ciò che è vecchio o antico. Ma ai suoi occhi l’”indietrismo” è anche un peccato, perché chi ne è affetto “non va avanti con la Chiesa”, ovvero non asseconda -se abbiamo colto in modo corretto il “non detto” del discorso papale- ciò che la Chiesa (ovvero “il popolo di Dio”) pone come nuova verità nel presente, più adatta ai tempi nuovi e alle nuove esigenze o desideri dei fedeli.

Qui però va detto che Francesco, non diversamente dai suoi predecessori, a partire da Paolo VI,  e non diversamente da tutti i modernisti e neomodernisti, fraintende completamente il concetto di Tradizione, e, di conseguenza fraintende  il pensiero di quelli che lui chiama “i tradizionali” o gli “indietristi”. Infatti chi è fedele all’insegnamento di sempre della Chiesa non è attaccato a ciò che è passato, ma a ciò che è eterno; non è attaccato a ciò che è antico, ma a ciò che è immutabile;   non è attaccato a vaghe convinzioni di secoli ormai lontani, ma a verità perenni  che non possono invecchiare e che sono e saranno sempre vive e attuali fino alla fine dei tempi.

 

  1. Conclusione

Due visioni radicalmente opposte della fede si fronteggiano qui: da un lato Francesco, coerentemente col modernismo post-conciliare, crede che la dottrina della fede debba sempre aggiornarsi, modellandosi sul mutare dei tempi, dei costumi, delle aspettative e dei desideri degli uomini e nulla ai suoi occhi è peggio dello scagliare le verità del passato (dottrinali o morali) come “pietre” contro gli uomini, figli del loro tempo, che vivono contraddicendole.

Per chi ha la fede cattolica la Rivelazione (le cui fonti sono la Tradizione e la sacra Scrittura) si è conclusa con la morte dell’ultimo Apostolo e nulla può esserle aggiunto, né tolto da nessuno. Il dogma può essere capito sempre meglio e approfondito, ma solo nella luce di un’evoluzione omogenea, e non eterogenea di esso.  Una verità di fede dunque non potrà mai rovesciarsi nel suo opposto.

Il compito del Magistero, il ruolo della Chiesa Docente non è di essere l’avanguardia rivoluzionaria  del “popolo di Dio”, ma di illuminare e giudicare, alla luce dei dogmi e dell’immutabile legge morale, i problemi e gli errori sempre nuovi che sorgono nella storia e insidiano la fede cristiana.

Compito della Chiesa è custodire e trasmettere incorrotto il Depositum  della fede, condannando gli assalti sempre rinnovati dell’eresia e dell’errore.  Problemi o errori nuovi o mai affrontati dalla Chiesa (eutanasia, gender, matrimonio fra persone dello stesso sesso, transumanesimo, etc.) non devono spingere la Chiesa a trovare accomodamenti che, mutilando la dottrina di sempre, permettano di  assecondare i progetti più perversi e nichilisti del mondo contemporaneo e dei nemici di Cristo; ma devono spingere al contrario tutto il corpo episcopale a lottare contro l’errore, a confutare ogni attentato alla fede o alla legge di natura, a condannare senza incertezze la malizia crescente delle forze anticristiane.

Per i modernisti purtroppo è quasi impossibile ingaggiare questa lotta con il mondo perché l’illusione di fondo che regge tutto il Vaticano II è proprio quella che il mondo, anche privo di Cristo, fosse avviato a un crescente progresso morale e spirituale, fosse in sé, misteriosamente, buono.   Il modernismo, in ultima istanza, si fonda anche sulla negazione del peccato originale e non può non sfociare in una immensa “simpatia” per il mondo moderno.

Per chi ha conservato la fede in ciò che la Chiesa ha sempre insegnato viceversa, la battaglia con il mondo e con i nemici di Cristo non può che aggravarsi di giorno in giorno.

 

 

 

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