Abbigliamento e rivoluzione.  La storia dell’uso dei pantaloni maschili da parte delle donne e il suo significato simbolico profondo

 

 

 

Nell’ottobre del 2012 don Régis de Cacqueray, superiore del Distretto di Francia della Fraternità san Pio X,  la comunità di sacerdoti fondata da monsignor Marcel Lefebvre negli anni Settanta per custodire la Messa di sempre e il sacerdozio cattolico, pubblicò questo bello studio sulla storia dell’utilizzo dei pantaloni maschili da parte  delle donne. L’articolo mostra  molto bene come l’abbigliamento non sia un elemento accidentale del processo storico, ma esprima al contrario il senso più profondo dell’evoluzione di una  società e di una cultura. Pensando al passato dell’Occidente cristiano osserviamo come vi era una fortissima caratterizzazione del modo di vestire: le donne avevano abiti fortemente  ed esclusivamente legati al loro sesso, e lo stesso valeva fra gli uomini. I due modi di vestire non erano solo  genericamente e superficialmente diversi, ma separati quasi da un abisso. Per capirci era semplicemente impensabile una donna in pantaloni o vestita da uomo.

Il Novecento ha visto un avviarsi un processo sempre più drastico e accelerato di confusione fra abiti maschili e femminili,  fino ad arrivare ormai all’alta moda che presenta modelli maschili efebici e femminilizzati e vestiti appunto da donne e modelle donne a stento distinguibili da un uomo. Tutto ciò non è senza significato, ma rappresenta anzi il segno più vistoso e appariscente di una profonda rivoluzione che i poteri forti  stanno sviluppando con scientifica precisione e puntualità.  Il testo di De Cacqueray (oggi cappuccino a Morgon col nome di padre Giuseppe), ricostruisce mirabilmente questa storia.

 

Cari amici e benefattori,
in occasione di un pellegrinaggio, abbiamo fatto riferimento ad un ultimo argomento per chiedere a tutti i fedeli della Tradizione cattolica una conveniente tenuta nell’abbigliamento: si trattava di un semplice avviso tratto benevolmente dalla Guida Michelin di Roma per l’anno 2000… E per richiamarlo alla memoria, ecco cosa diceva: «È necessario un abbigliamento appropriato: pantaloni per gli uomini, gonne dalla lunghezza giusta e spalle coperte per le donne». Era un modo per dire: «Vedete, anche a Roma, capitale della Cristianità, e a dispetto di tutto ciò che noi per altro vi deploriamo, le esigenze dell’abbigliamento non sono state abbandonate
Si avrebbe dunque torto a pensare che sarebbero solo i sacerdoti della Fraternità San Pio X che prestano attenzione a questa questione.

Nel corso di quell’anno giubilare del 2000, è anche accaduto a questo o a quel fedele proveniente da una cappella della Fraternità, di essere stato respinto davanti ad una basilica romana dalle guardie del Vaticano per un abbigliamento giudicato immodesto! Eppure, la nostra ricerca di argomenti col ricorso al comportamento nelle  basiliche romane o alla Guida Michelin, non esprime la nostra difficoltà ad essere compresi in un dominio che tuttavia appartiene alla disciplina ecclesiale? Come ricordare anche oggi, com’è peraltro nostro dovere, delle verità che sembrano così impopolari?

Mi si perdoni se ho provato a farlo in questa Lettera agli amici e benefattori. Penso che quelli tra voi che si prenderanno la pena di leggerla senza pregiudizi, possano meglio comprendere che l’abbigliamento, lungi dall’essere unicamente una questione di vestiti, è sempre il riflesso di un’anima, di una civiltà, direi perfino di una teologia. Può essere il riflesso del Vangelo e delle belle virtù della vita cristiana, ma si può anche essere il simbolo di costumi leggeri e perfino di una filosofia libertaria, violentemente ostile a Dio, alla legge naturale e alla Rivelazione. In particolare, mostreremo come i promotori della teoria del «gender» sappiano perfettamente a cosa mirano quando si basano sulla moda per banalizzare la loro abominevole rivoluzione.

Un discorso vecchio e consumato

Lascio dunque da parte deliberatamente i veri argomenti autorevoli in materia: la Sacra Scrittura che rivela il triste stato di Adamo ed Eva dopo il peccato originale e la necessità, a quel punto, di coprire la nudità dell’uomo, non solo in ragione delle intemperie, ma anche delle leggi della concupiscenza.
Sorvolo anche sul Deuteronomio che afferma: «Una donna non si metterà un indumento da uomo né l’uomo indosserà una veste da donna; perché chiunque fa tali cose è un abominio al Signore tuo Dio» (1).
Ignoro San Paolo che esige che le donne indossino «abiti decenti, adornandosi di pudore e di riservatezza» (2) e siano coperte nelle azioni religiose (3).
Trascuro San Lino, che governò la Chiesa immediatamente dopo San Pietro e che decretò che nessuna donna entrasse in una chiesa senza avere la testa coperta da un velo.
Metto da parte la Summa Teologica dove San Tommaso spiega che «L’abbigliamento esterno deve essere adatto alla condizione di ogni persona» e che «è peccaminoso che una donna si vesta da uomo» (4) salvo circostanze eccezionali (come conferma l’esempio di Santa Giovanna d’Arco).
E a questo punto, trascuro la lettura di Pio XII che ricorda le regole della modestia cristiana (5) e lo stesso Diritto Canonico, che riassume duemila anni di Tradizione e che esige che le donne «devono portare un velo sulla testa ed essere vestite con modestia, specialmente quando si avvicinano alla mensa del Signore» (6).

Certi cattolici ritengono forse che tutto questo non abbia più molta importanza e non sia più di attualità. Tuttavia, il peccato originale e le sue conseguenze non sono di tutte le epoche e non lo saranno fino alla fine del mondo? Le disposizioni pratiche adottate dalla Chiesa, che si fondano sui principi della fede e ne sono solo le conseguenze morali, valgono sempre e non potranno mai essere obsolete. Né gli uomini, né le donne e le ragazze potranno dunque sottrarsi, in coscienza, alle regole tradizionali di modestia, sia nella vita corrente sia nella frequentazione degli edifici sacri. Ma ho detto che avrei lasciato volontariamente da parte, per questa volta, tali autorità e tali discorsi, già ascoltati così spesso da apparire vecchi e consumati, per proporvi altre considerazioni ricavate dai nostri nemici.

Un fatto nuovo e rivelatore: la teoria del “gender”

La teoria del “gender” pretende che ogni individuo, indipendentemente dal suo sesso, sia libero di scegliere il suo genere, maschile o femminile, o entrambi, fin dall’infanzia. Dopo qualche mese, tutte le persone ancora sane di mente hanno alzato le braccia al cielo di fronte alla diffusione mondiale della promozione del “gender”.
Questa reazione naturale e legittima pone peraltro una questione interessante. Infatti, i sostenitori della rivoluzione sessuale permanente, i fabbricanti e i propagatori di quest’idea mostruosa, espongono tranquillamente, nelle loro pubblicazioni accessibili a tutti, il perché e il per come la moda dell’abbigliamento sia stata e sia ancora il veicolo decisivo che ha permesso loro di cambiare le mentalità. È questo che dà loro la speranza di avviare l’umanità verso l’ideale dell’amore infine divenuto libero, liberato dagli ultimi impedimenti e dagli ultimi tabù…
Io non vi raccomando di comprare le loro pubblicazioni. Ne ho comprate due per vederci chiaro. Se noi cattolici sottovalutiamo l’importanza dell’abbigliamento, possiamo vedere come questo non sia  certo il caso dei nostri avversari.

I nostri nemici lo sanno!

Tutti i nemici della Chiesa hanno delle convinzioni profonde sull’importanza della questione dell’abbigliamento. Ecco una delle affermazioni più antiche delle logge massoniche: «Per distruggere il cattolicesimo, bisogna cominciare a sopprimere la donna. Ma poiché non possiamo sopprimerla, corrompiamola» (7).
Questa affermazione trova la sua espressione adeguata nelle opere più recenti. La prima è un libro intitolato: «Jeans, 150 ans de légende» (8). L’opera porta la prefazione di Marithé et François Gribaud, grandi profeti del jeans Denim, che nel 1967 hanno inventato l’arte di lavare artificialmente i jeans. In questa prefazione essi affermano: «Dal 1964 abbiamo tracciato dei segni nella materia, che sono diventati una scrittura, dei codici per molti… Noi siamo i figli del dopoguerra, gli hippies del 68, abbiamo reagito alla maniera punk, siamo stati insieme traveller e new age. Abbiamo partecipato ai grandi momenti di ciò che stava diventando la moda yéyé, l’unisex, lo sportwear, il jeans, il casual, l’attivo, lo sport city, l’urbanwear che diventa streetwear, il tech-nike. Noi non siamo né etnologi, né ergonomi, né sociologi. E tuttavia in ogni collezione segniamo un nuovo marchio sul totem o sulle pareti della caverna. E talvolta lasciamo delle tracce visibili, oggi sempre più invisibili ad occhio nudo
Nel capitolo intitolato Gli hippies, si può leggere: «Per cancellare le abitudini sessiste e indignare gli imbecilli, ragazze e ragazzi si abbigliano volentieri allo stesso modo… A Parigi, nel maggio 1968, sulle barricate, altro fronte strategico e ideologico della contro-cultura, il jeans diventa indumento-feticcio, simbolo della contestazione, della libertà. E soprattutto della gioventù…» (9). Vi si trova anche questa confessione di Pierre Bergé: «il jeans ha abolito le classi sociali e lanciato l’unisex.» (10)

L’analisi dell’indice di questo libro si rivela molto interessante. Esso presenta sette capitoli relativi a tutti quelli che hanno fatto la gloria del jeans. Ecco alcuni elementi: La moda, con in testa Yves Saint-Laurent; I Cowboys (uno stile di vita americano che diverrà una moda); I BikersI Rockers (Elvis, I Beatles, Gli Stones, I Punk… sono tutti «jeans-dipendenti»: un’attitudine Rock’n’Roll); Gli Hippies (il jeans, all’epoca di Woodstock, conobbe le sue ennesime rivoluzioni anticonformiste); Lo Street (uno stile radicale adottato dai ghetti, dagli skatters e dai rapper come segno di riconoscimento).
Non è difficile constatare che tutti questi propagatori della tendenza «jeans» non abbiano niente a che vedere col cristianesimo, quanto piuttosto con tutto ciò che gli è opposto, lo combatte, lo rovina…

Siamo i soli a non crederci…

Un’altra opera recente, «Histoire politique du pantalon» (11), ci invita anche a comprendere l’ampiezza della questione dell’abbigliamento. Tutto questo libro dimostra che tutto ciò che ieri ritenevamo decisamente «secondario», oggi, nella prospettiva del “gender”, si rivela come una questione di primaria importanza. In questo libro si possono leggere delle affermazioni lucide e illuminanti come questa: «L’abbigliamento, tra le diverse funzioni ben analizzate dallo psicanalista inglese John Carl Flügel, ha quella di permettere una lettura immediata dell’individuo» (12). E quest’altra: «Il costume riflette l’ordine sociale e il creato». I nostri nemici ci credono! Ecco perché danno alla questione dell’abbigliamento la sua vera importanza, importanza che troppi cattolici rifiutano, relativizzano o minimizzano.
I nostri avversari affermano senza la minima esitazione che «Il pantalone è l’indicatore del sesso/genere più importante per la storia occidentale degli ultimi due secoli» (13). È per questo che, secondo il loro intendimento, «Il pantalone femminile si inscrive in una dinamica di rimessa in questione dei miti che strutturano i due generi» (14).

Ma chi sono allora i nostri modelli?

Occorre sapere che quando si tratta di «Una storia politica del pantalone», si rasenta la rivoluzione e la perversione sessuale in tutte le pagine. Se facciamo una breve rassegna delle personalità femminili che hanno lanciato l’uso del pantalone tra le donne, dal XIX secolo all’inizio del XX secolo, incontriamo Georges Sand (1804-1876), Rosa Bonheur (1822-1899), Jane Dieulafoy (1851-1916), Sarah Bernhardt (1844-1923), Louise Abbéma (1853-1927), Rachilde (1860-1953), «Marc» de Montifaud (1845-1912), Colette (1873-1954) e la marchesa de Belbeuf, Gyp, Madeleine Pelletier (1874-1939), Claude Cahun (1894-1954), Violette Morris (1893-1944), Maryse Choisy (1903-1979), Odette du Puigaudeau (1894-1991) e la sua compagna Marion Sénones.
Queste donne sono tutte delle personalità notoriamente scandalose e contrassegnate da costumi depravati. Christine Bard, autrice del libro, commenta così riferendosi alle prime undici: «Esse sono uscite dalla famosa riserva che si addice al loro sesso, che si esprime normalmente con un abbigliamento discreto. Il pantalone ha contribuito alla conquista della loro autonomia. Donne libere nella loro vita privata, non potevano ignorare che il pantalone fosse anche un segno di ambiguità sessuale, al di là del fatto che i loro amori femminili fossero vissuti o repressi. Le donne di cui abbiamo parlato devono la loro realizzazione a ciò che Colette chiama ermafroditismo mentale. Molte di esse hanno conosciuto i due generi d’amore… il pantalone occasionale o abituale è il segno distintivo quasi ordinario di questi esseri che lo sono così poco» (15).
L’abbigliamento è dunque correlativo alla mentalità e alla moralità e non è possibile che questo tipo di persone possa servire da riferimento e da modello alla donna cattolica.

In quale ambiente ci troviamo?

Christine Bard, autrice non sospetta di tradizionalismo, fa l’inventario delle cause dell’evoluzione del costume femminile e quindi dell’adozione del pantalone da parte delle donne. Ecco alcuni concetti colti qua e là.
La moda: «La moda è un potente fattore di legittimazione del cambio di abbigliamento e rende ridicole le velleità di interdizione» (16). La creazione del prêt-a-porter ha avuto in questo campo un peso considerevole. Claire Mc Cardell (1905-1958), creatrice del prêt-à-porter americano, afferma: «Gli abiti sportivi hanno cambiato le nostre vedute, forse più di tutto il resto, e hanno fatto di noi delle donne indipendenti» (17).
Lo sport: « L’abbigliamento sportivo è l’alleato oggettivo del movimento di emancipazione delle donne» (18).
Il femminismo: La donna in pantaloni è «un simbolo politico della lotta per l’uguaglianza dei sessi» (19).
La guerra mondiale, «ha comportato un cedimento dei valori» e questo cedimento «è simboleggiato dall’avvento di una moda androgina, stile ragazzo» (20).
La cultura americana protestante ha diffuso «una versione soft del ragazzo, la girl, truccata, con le unghie laccate, i capelli ondulati, un po’ futile. È questo modello che ispira i nuovi giuochi di seduzione necessari all’erotizzazione della vita coniugale» (21).

Dopo la seconda guerra mondiale «Il fenomeno è visibile sul piano internazionale: nelle fabbriche, nei campi, nell’esercito, le donne sono in pantaloni…» (22). Altro fattore: l’insicurezza e l’educazione mista indifferenziata: «Il pantalone obbligatorio per le adolescenti è un modo per evitare la sessualizzazione del corpo femminile in gonnella…» (23).
Il divismo: Katharine Hepburn e Audrey Hepburn, Marlene Dietrich, Greta Garbo, Juliette Gréco, Anne-Cazalis, Brigitte Bardot, etc. L’autrice non nasconde niente: nessuna di queste personalità è un modello di moralità. Le mondane come per esempio Simone de Beauvoir o Françoise Sagan, «dal fascino androgino, spesso fotografata in jeans, a piedi nudi, informale… la macchina, i blue-jeans, i compagni, il giuoco, la danza, il whisky e i dischi sono i suoi totem, lei personifica la gioventù francese del dopo guerra» (24).

Possa questo ritratto non essere quello di una certa parte della gioventù cattolica!

Yves Saint-Laurent (1936-2008), che ha adottato il pantalone femminile fin dall’inizio (1962) «ha meritato» qui una menzione speciale: «Fin dalla sua prima collezione, quando lavorava da Dior, aveva valorizzato una certa androginia…» (25). Dopo 40 anni di carriera, a proposito delle donne concluderà: «Servire i loro corpi, i loro gesti, le loro attitudini, la loro vita. Ho voluto accompagnarle in questo grande movimento di liberazione che ha conosciuto il secolo scorso» (26).

Tradizionali nei principi e rivoluzionari nella pratica?

La grande rivoluzione dell’abbigliamento ha avuto luogo soprattutto negli anni ‘60, esattamente quelli del Concilio Vaticano II. A quell’epoca, il modello della donna «in casa, che alleva una prole numerosa, ancora presente nelle immagini pubblicitarie degli anni ’50, crolla bruscamente» (27).
Da notare che il primo atto del MLD (Movimento di Liberazione della Donna) nel 1970, è quello della donna in pantaloni (28). Negli anni ’70 il pantalone femminile trova nuovamente nelle donne omosessuali le sue più grandi avvocate: Carole Nissoux, Paula Dumont, Elula Perrin, Suzette Triton, etc. (29)

Catherine Valabrègue, giornalista nota per il suo impegno a fianco del Plannig Familial, è colpita dalla «interscambiabilità degli abiti per ragazze e ragazzi» e «ritiene che la desessualizzazione dell’abbigliamento corrisponda senza dubbio alla preoccupazione di abolire la distanza tra i sessi… Per rivolgersi ai giovani – lei dice – talvolta si è tentati di inventarsi il terzo sesso…  Attraverso la moda, vediamo quindi delinearsi nelle giovani generazioni la preoccupazione di sfuggire alla costrizione dell’immagine tradizionale dell’uomo e della donna» (30).

Catherine Bard trae questa conclusione: «Il pantalone femminile è un’immagine forte di rottura con la Tradizione, in un contesto particolare che la rende possibile e auspicabile» (31). Il jeans «è sicuramente associato alla liberazione sessuale e ad uno stile di vita bohème. Divenuto simbolo di rivolta, esso partecipa alla contro-cultura occidentale» (32). In breve, il successo del pantalone femminile «consacra la fine dell’ordine antico iper-differenziato… l’avvicinamento dei sessi si effettua intorno a questo indumento…» (33).
Sfortunatamente, è il caso di notare che se oggi noi resistiamo al Concilio Vaticano II, non resistiamo più granché alla rivoluzione dell’abbigliamento, senza dubbio perché ne abbiamo una coscienza molto debole.

Ciò che io non avrei potuto scrivere…

Christine Bard, a conclusione del suo libro, ha scritto cose che noi non avremmo osato scrivere per paura di perdere di credibilità. Scritte da lei, però, queste righe mantengono tutto il loro peso. Ecco cosa dice: «Piazzare questa storia del pantalone sotto il segno dei tre valori repubblicani, Libertà, Uguaglianza, Fraternità, conferisce intelligibilità a ciò che a prima vista potrebbe apparire come aneddotico… Quale libertà? L’evoluzione dell’abbigliamento femminile in Occidente riflette l’avvento del liberalismo e dell’individualismo… Quale uguaglianza?… Si è visto il pantalone divenire un segno distintivo superiore alla controversia sull’uguaglianza dei sessi… Quale fraternità?… La tendenza androgina, l’unisex, il jeans, non sono alla ricerca di un’altra via che non dia più la priorità assoluta alla seduzione secondo i codici stabiliti dall’eterosessualità?… Il cambiamento di abbigliamento, immagine della fraternità? Il pantalone ha accompagnato le mutazioni di genere negli ultimi due secoli» (34).

Noi speriamo che quelli e quelle che sono forse poco inclini ad ascoltare il nostro punto di vista in questo dominio, accetteranno di accordare del credito alle affermazioni dei sostenitori del campo opposto! Che gli uomini, mariti o padri di famiglia, comprendano che non è innocente, tutt’altro, lasciare che le loro figlie o spose scelgano il loro «genere» in materia di abbigliamento. Sì, non è indifferente che le nostre ragazze vestano come Françoise Sagan nel 1976, le nostre madri di famiglia come Brigitte Bardot nel 1955 e le nostre venerabili nonne come George Sand nel 1838. Ora, queste personalità immorali e rivoluzionarie, con il loro abbigliamento, sfidavano un mondo che era ancora cattolico. E le cose si sono aggravate continuamente. Basta che un parrocchiano o una parrocchiana assumano un’infelice iniziativa in questo dominio, che nelle settimane successive il cattivo esempio si propaga immancabilmente. Sfortunatamente, non si reagisce più: «A forza di vedere tutto, ci si abitua a tutto; a forza di abituarsi a tutto, si finisce con l’accettare tutto».

Il paradosso che ci deve “interpellare”

Ecco dunque, per finire, il paradosso che ci deve «interpellare» (come si dice oggi): noi ci scandalizziamo per la teoria del “gender”, e facciamo bene a farlo! Ma ci siamo rassegnati ad accettare (più o meno) la significativa evoluzione dell’abbigliamento che si manifestava proprio per accompagnarla e banalizzarla. I nostri nemici, campioni della Rivoluzione, conoscono molto meglio di noi la grande verità rivoluzionaria: la Rivoluzione è una prassi e si comincia col fare praticare le idee prima ancora di imporle chiaramente.

Non è arrivato il tempo di reagire? «A forza di non vivere come si pensa, si finisce col pensare come si vive!» Se noi non demoliamo il movimento delle idee con la pratica, le idee finiranno necessariamente con l’imporsi di fatto nei nostri spiriti. Non bisogna dunque farsi adescare: per combattere veramente la teoria del “gender”, cominciamo col rinunciare alle sue pompe e alle sue opere. Qui è messa in luce la connessione reale e necessaria che esiste fra la fede e la morale, la necessità assoluta di una coerenza efficace fra i principi e la vita concreta.
Grazie all’avvento del “gender” scopriamo che quella che si riteneva fosse una questione «secondaria», in effetti è l’applicazione imperiosa delle verità essenziali.
Il cristianesimo non potrà sussistere senza un’incarnazione quotidiana dei principi.

Si tratta di una guerra e bisogna combatterla

È per questo che i vostri pastori vi ricordano incessantemente le regole della modestia cristiana, sia nei luoghi di lavoro sia nella vita quotidiana. Essi contano sulla buona volontà di tutti. Che gli uomini diano l’esempio e quando si recano a Messa si facciano carico di essere ben vestiti almeno come quando si recano nei loro posti di lavoro. Che i padri e le madri di famiglia veglino sulla tenuta dei propri figli. Laddove non venga mantenuta la modestia cristiana, il cristianesimo svanisce, il linguaggio si abbassa, le relazioni diventano volgari, la purezza dell’amore sparisce, le vocazioni diventano rare. E se il pantalone femminile non può essere evitato, in ragione delle difficoltà del tempo (professione, attività straordinaria, sicurezza, ecc.), io mi permetto di chiedervi che esso oggi non appaia più nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle nostre cappelle, nei nostri pellegrinaggi.

Vi benedico e vi assicuro le mie preghiere nel Cuore Addolorato e Immacolato di Maria.
Don Régis de Cacqueray

NOTE

1 – Deuteronomio, 22, 5.
2 – I Timoteo, 2, 9.
3 – I Corinzi, 11
4 – IIa – IIae, q. 169, a. 2, ad 3.
5 – Discorso ai membri dell’Unione Latina Alta moda, dell’8 novembre 1957.
6 – Can. 1262, § 2.
7 – CRÉTINEAU-JOLY, L’Église Romaine et la Révolution (T. II, p. 50)
8 – GILLES LHOTE ET BÉATRICE NOUVEAU, ediz. Michel Lafont, 2003
9 – Op. cit., p. 148.
10 – Op. cit., p. 10.
11 – CHRISTINE BARD, Editions du Seuil, 2010
12 – Op. cit. op., p. 8, nota 1.
13 – Op. cit. op., p. 20.
14 – Op. cit. op., p. 316.
15 – Op. cit. op., p. 190.
16 – Op. cit. op., p. 202.
17 – Op. cit. op., p. 301.
18 – Op. cit. op., p. 192.
19 – Op. cit. op., p. 247.
20 – Op. cit. op., p. 282.
21 – Op. cit. op., p. 289.
22 – Op. cit. op., p. 282.
23 – Op. cit. op., pp. 272-273.
24 – Op. cit. op., p. 302.
25 – Op. cit. op., p. 309.
26 – Op. cit. op., p. 311.
27 – Op. cit. op., p. 317.
28 – Op. cit. op., p. 323.
29 – Op. cit. op., p. 326.
30 – Op. cit. op., p. 318.
31 – Op. cit. op., p. 319.
32 – Op. cit. op., p. 320.
33 – Op. cit. op., p. 352.
34 – Op. cit. op., p. 377-379.

 

articolo ripreso dal sito:

https://www.sanpiox.it/archivio/articoli/fede/764-dal-genere-di-abbigliamento-al-gende

 

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5 Comments

  • fabio Posted Agosto 29, 2023 8:58 am

    nell’articolo si parla anche di “peccato originale” che come noto è quello commesso da Adamo ed Eva. sappiamo però oggi che quei due personaggi non sono esistiti sono una costruzione teologica per designare l’umanità! quindi perché continuiamo a parlare di peccato originale?

    • Matteo D’Amico Posted Gennaio 3, 2024 8:19 pm

      Il peccato originale descrive un vero fatto storico accaduto ai primi due esseri umani, Adamo ed Eva; non è né un simbolo, né un mito. Questo insegna e ha sempre insegnato la Chiesa

  • Vittorio Posted Agosto 29, 2023 9:06 am

    Buongiorno Dottore,
    dopo aver letto il suo interessantissimo articolo colgo l’occasione per inviarle questo lettera o storica scritta dal cardinal Siri che lei certamente conoscerà .

    Quando il card. Siri (1960) comprese profeticamente la ‘teoria gender’. Il suo articolo: ‘A proposito del costume maschile della donna’
    5 Agosto 2017 | Morale

    Radio Spada recupera in rete e offre al suo pubblico questo dimenticato (ma utile e profetico) testo del Card. Siri. Grassettature e sottolineature nostre.
    “A proposito del costume maschile della donna” (12 Giugno 1960) [RS]:
    del Card. Giuseppe Siri
    L’USO DEL COSTUME MASCHILE DA PARTE DELLA DONNA.
    I primi rilievi della ormai tarda primavera avvertono che c’è in questo anno un certo incremento nell’uso del costume maschile da parte di ragazze e donne, anche madri di famiglia. Fino al 1959, in Genova, tale costume designava generalmente la qualità del turista; ora si ha l’impressione che un certo numero non disprezzabile di ragazze e donne genovesi abbiano optato almeno nei giorni di gita, per il costume maschile (calzoni maschili).
Questo allargarsi di un uso obbliga a riflettere seriamente e Noi preghiamo coloro, ai quali è diretta la presente Notificazione, di voler prestare all’argomento la attenzione propria di chi sente davanti a Dio una responsabilità.
Cerchiamo anzitutto di dare un equilibrato giudizio morale sull’uso del costume maschile da parte della donna. Infatti le Nostre considerazioni non possono che preoccuparsi dell’aspetto morale.
    I. – UN GIUDIZIO MORALE.
    1. NON COSTITUISCE «PER SÉ» UN GRAVE TORTO ALLA MODESTIA.
    L’uso dei calzoni maschili da parte della donna non si può dire – oggi, data la attillatura dei vestiti femminili – che costituisca per sé un grave torto alla modestia. Quanto a coprire, i calzoni copronto certamente più delle moderne gonne femminili.
    2. MA POTREBBE COSTITUIRLO SOTTO L’ASPETTO DELL’ATTILLATURA.
    Ma non è solo questione di coprire, è questione di attillatura. Sotto questo profilo non sarebbe esatto dire che i calzoni non abbiano la possibilità di raggiungere un grado maggiore di attillatura che non le gonne. Anzi in genere essi danno una maggiore attillatura e la attillatura ha motivo di preoccupare talvolta non meno della stessa esibizione. Si tratta dunque di aspetto che non va trascurato nel giudizio complessivo, anche se non può venire artificialmente esagerato.
    II. – L’ASPETTO PIÙ GRAVE.
    Tuttavia c’è, nell’uso dei calzoni maschili da parte delle donne, un aspetto che a Noi pare il più grave.
L’abito maschile usato dalla donna:
– altera la psicologia propria della donna;
– tende a viziare i rapporti tra la donna e l’altro sesso;
– è facilmente lesivo della dignità materna davanti ai figli.
Questi punti vanno accuratamente considerati.
    1. ALTERA LA PSICOLOGIA DELLA DONNA.
    Infatti il motivo che spinge a portare abiti maschili è sempre quello della imitazione, anzi della concorrenza rispetto a chi è ritenuto più forte, più disinvolto e più indipendente. Questo motivo manifesta chiaramente che l’abito maschile è l’aiuto sensibile per attuare una abitudine mentale ad essere «come un uomo». In secondo luogo, da che mondo è mondo, l’abito esige impone e condiziona gesti atteggiamenti contegno ed arriva dall’esterno ad imporre una determinata trama psicologica.
Non si escluda poi che l’abito maschile portato dalla donna nasconde più o meno una continua reazione a quella femminilità che ad essa pare inferiorità ed è solo diversità. L’inquinamento della trama psicologica diviene evidente.
Queste ragioni, che ne condensano altre, sono sufficienti ad avvertire la deformazione verso la quale l’abito maschile spinge la mentalità della donna.
    2. TENDE A VIZIARE I RAPPORTI TRA DONNE E UOMINI.
    Infatti i rapporti tra i due sessi, quando lo sviluppo dell’età li dipana, sono dominati da un istinto di vicendevole attrazione. Base essenziale della attrazione è la diversità, che sola rende possibile il vicendevole complemento. Se questa «diversità» non è più così evidente perché un suo elemento esterno rivelatore è annullato e perché una conformazione psicologica è attutita, si ottiene la alterazione di un dato fondamentale del rapporto.
Ma non basta: la attrazione è preceduta naturalmente e cronologicamente dal pudore, che frena, impone rispetto, tende a trasportare su di un piano di stima e di salutare timore, quanto l’istinto insorgente spingerebbe ad atti meno controllati. La mutazione dell’abito, il quale colla sua diversità diventa rivelatore e incentivo del limite nonché della difesa, appiattendo le distinzioni, tende a far crollare la difesa stessa del pudore.
Quanto meno la rallenta. Senza il freno del pudore i rapporti tra l’uomo e la donna hanno il peso degradante verso la pura sensualità, oltre il rispetto e la stima.
La esperienza dice che quando la donna si è assimilata all’uomo, le difese si attenuano e la debolezza cresce.
    3. È LESIVO ALLA DIGNITÀ MATERNA.
    Tutti i figli hanno istintivamente il senso della dignità e del decoro della madre. L’analisi della iniziale crisi interna, che passa il bambino al primo aprirsi alla vita e prima ancora di entrare nella adolescenza, rivela quanto ci giochi il senso della madre. I bimbi sono delicatissimi su questo punto. I grandi, in genere, hanno dimenticato tutto questo e ne hanno perduto il gusto. Sarebbe bene ripensare le austere istintive esigenze che hanno i bimbi relativamente alla propria madre e le reazioni profonde e perfino terribili alle quali danno luogo constatazioni insoddisfacenti sul contegno della madre. Molte linee del «poi» sono tracciate – e malamente – in queste prime vicende interiori della infanzia e della puerizia.
Il bimbo non conosce la definizione della esibizione, della leggerezza e della infedeltà, ma possiede un sesto senso istintivo per intuire tutte queste cose, soffrirne e trarne pieghe amare nell’anima sua.
    III. – TALE USO ALLA LUNGA È MACERANTE DELL’ORDINE UMANO.
    Si rifletta bene a che cosa significhi quanto sopra esposto, anche se la esibizione della donna in abiti maschili può non suscitare sul momento tutte le sconcertanti reazioni della grave immodestia.
    1. UN DANNO FONDAMENTALE CHE PUÒ DIVENIRE IRREPARABILE.
    La alterazione della psicologia femminile è un danno fondamentale, e a lungo andare irreparabile, della famiglia, della fedeltà coniugale, della sfera affettiva e della convivenza umana.
Gli effetti dell’uso di un vestito inopportuno non si vedono tutti nel giro di breve tempo, siamo d’accordo.
Ma è necessario pensare a quello che lentamente e sornionamente si indebolisce, si macera, si corrompe.
    2. CIÒ CHE PUÒ ANDARE PERDUTO.
    È possibile pensare ad una soddisfacente reciprocità nell’ambito coniugale, se si altera la la psicologia femminile?
È possibile pensare ad una educazione dei figli, delicatissima nella sua procedura, tessuta di imponderabili nei quali l’intuito della madre ed il suo istinto hanno negli anni più teneri la parte maggiore? Cosa sapranno dare queste donne, quando avranno abbastanza portati i calzoni, per sentirsi più in concorrenza coll’uomo che non in funzione di se stesse?
    3. LA TESTIMONIANZA DEL GENERE UMANO.
    Perché da che mondo è mondo, o meglio da che la civiltà è in cammino, si è sempre e da tutti irresistibilmente teso a dare una differenziata divisa alle differenti funzioni? Non è forse questa la testimonianza severa di un consenso del genere umano e della sua intuizione di una verità ed una legge superiori a se stesso?
In conclusione: la questione dell’abito maschile delle donne va considerato come un elemento che alla lunga è macerante dell’ordine umano.
    IV. – STATO D’ALLARME IN TUTTI I RESPONSABILI.
    La conseguenza logica di quanto sopra abbiamo esposto è che entri in tutti i responsabili uno stato di allarme vero e proprio, severo e deciso.
    1. FORMARSI UNA COSCIENZA NETTA E CONSEQUENZIARIA.
    Noi ci rivolgiamo con grave ammonizione a tutti i Parroci, a tutti i Sacerdoti e soprattutto ai confessori, agli assistenti di associazione di qualunque tipo, a tutti i Religiosi, alle Religiose, soprattutto a quelle educatrici.
Li invitiamo a formarsi sull’argomento una coscienza ben netta e consequenziaria. È questa coscienza che importa. Essa suggerirà quello che occorre al momento opportuno. Ma, che non ci acquieti come dinnanzi all’ineluttabile, come dinnanzi ad una fisiologica evoluzione degli uomini etc.
    2. LE LINEE SOSTANZIALI DELLA NATURA E DELLA LEGGE ETERNA NON MUTANO!
    L’uomo andrà e verrà, perché Dio gli ha lasciato un grande «periodo di oscillazione»; ma le linee sostanziali della natura e le linee non meno sostanziali della legge eterna non hanno mai mutato, non mutano e non muteranno mai. Ci sono dei termini che si possono oltraggiare quanto si crede, ma hanno per conseguenza la morte; si sono dei limiti che si possono deridere o non prendere sul serio per vacue insufflazioni filosofiche, ma che compongono la congiura dei fatti e della natura contro i loro violatori. E la storia ha abbastanza insegnato, con terribile evidenza nella vita dei popoli, che la risposta alle forzature della linea «umana» sono sempre prima o poi le catastrofi.
    3. LE FORZATURE ALLA «LINEA DI DIO» PORTANO FUNESTE CONSEGUENZE.
    Dalla dialettica hegeliana in poi ci siamo sentiti ripetere delle favole autentiche e molti, a forza di sentirle ripetere, finiscono coll’adattarsi anche solo passivamente. Ma la verità è che la natura e la verità ed in esse la Legge se ne vanno avanti imperterrite e stroncano gli ingenui i quali credono, senza documenti, a grandi e radicali mutazioni della stessa fisionomia umana.
Le conseguenze di queste forzature non sono una nuova «linea di quiete», sibbene i disordini, le instabilità dolorose, le aridità orrende delle anime, lo stupefacente crescere dei rifiuti della umanità cacciati anzitempo fuori della volgare considerazione ad attendere il tramonto nella noia, nella tristezza e nel disprezzo. Sulle rovine delle eterne norme allignano le famiglie infrante, le vite interrotte, i focolari spenti, i vecchi rinnegati, i figli degenerati e – finalmente – le disperazioni e i suicidi. Queste cose attestano che la «linea di Dio» resiste e non ammette adattamenti ai deliramenti dei sognatori chiamati a torto filosofi.
    V. – COME DEVONO COMPORTARSI I RESPONSABILI DELLE ANIME.
    1. EQULIBRIO E FERMEZZA DI PRINCIPI.
    Abbiamo detto che coloro ai quali è rivolta la presente notificazione sono invitati a formarsi una netta coscienza di allarme sul problema in oggetto.
Essi sanno pertanto quello che debbono dire, cominciando dalle bambine dell’asilo materno.
Essi sanno che dovranno severamente limitare la loro tolleranza, in modo abituale, pur senza cadere in esagerazioni e fanatismi.
Essi sanno che non debbono mai avere la debolezza di lasciar credere che accondiscendano a un costume scivolante e compromettente tutta la moralità delle istituzioni.
Essi, i sacerdoti, sanno che la loro linea nel confessionale, pur non arrivando di per sé a considerare colpa grave l’uso dell’abito maschile dovrà essere recisa e perentoria.
Tutti vorranno riflettere alla necessità di una linea, rafforzata in ogni modo col concorso di tutte le buone volontà e di tutte le menti illuminate, per la creazione di una vera diga di resistenza.
    2. FARSI ALLEATI GLI UOMINI DELL’ARTE, DELLA STAMPA, E DELL’ARTIGIANATO.
    I responsabili delle anime a qualunque titolo, capiscono quanto sia utile avere alleati in questa difesa uomini dell’arte, della stampa, dell’artigianato. L’orientamento delle Case di moda, dei loro geniali ispiratori, della industria del vestiario, ha in tutto questo una importanza dirimente. La confluenza del senso dell’arte, della raffinatezza e del buon gusto può trovare soluzioni convenienti, ma degne, per l’abito della donna che deve usare la motoretta od applicarsi a talune esercitazioni o lavori. L’importante è salvare colla modestia il senso immortale della femminilità, quella per la quale soprattutto tutti i figli continueranno a ravvisare il volto della madre.
    3. LE CONTINGENTI ESPERIENZE DEVONO CEDERE AI GRANDI VALORI DA SALVARE.
    Non si nega che la vita moderna pone problemi ed accampa esigenze diverse da quelle dei nostri nonni. Ma si afferma che vi sono valori da salvare, assai più necessari delle contingenti esperienze e che non esistono per nulla intelligenza, buon senso e buon giusto per risolvere in modo accettabile e degno i problemi via via emergenti.
Combattiamo per carità l’appiattimento del genere umano perpetrato attentando alle differenze sulle quali poggia la complementarietà delle funzioni.
Quando si vede una donna in calzoni, non è a lei che si deve pensare ma all’umanità intera, che cosa sarà quando le donne si saranno mascolizzate per bene. Nessuno ha interesse a promuovere per il futuro l’età dell’indefinito, dell’equivoco, dell’incompleto e – in definitiva – dei mostri.
    Questa Nostra lettera non è rivolta al pubblico, sibbene ai responsabili delle anime della educazione, della vita associativa cattolica. Facciano il loro dovere e non siano scolte addormentate dinnanzi alle infiltrazioni del male.
     
    Fonte
    Cordiali saluti Vittorio TRIMINI

  • Vittorio Posted Agosto 29, 2023 9:29 am
  • Irma Haslinger Posted Agosto 30, 2023 9:14 am

    Grazie per il bello testo!
    Vorrei darvi un piccolo suggerimento: Da alcuni anni cerco di vestirmi in modo modesto perché amo molto la Santissima Madonna e voglio imitarLa il meglio possibile. Alcuni anni fa ho scoperto una moda per me stessa che penso Dio voglia che anch’io indossi.
    Preferisco sempre una gonna o un vestito in combinazione con dei pantaloni, o una gonna lunga anche con dei leggings, in modo che non sia assolutamente immodesto o aderente, e con questo abbigliamento mi sento molto a mio agio.
    I motivi sono diversi: di solito sono molto freddolosa, soprattutto in inverno. Inoltre, voglio coprirmi completamente e non voglio che nessuna parte delle mie gambe sia visibile. Tuttavia, le gonne lunghe sono spesso poco pratiche, soprattutto quando si lavora all’aperto, o quando si va in bicicletta, si fa sport, ecc.
    Mi piacciono molto i costumi tradizionali delle donne indiane, che combinano pantaloni larghi con lunghe tuniche esterne, molto eleganti. Anche molte donne musulmane si vestono in questo modo, proprio qui in Vienna. Sono convinta, che a Dio e Maria piaccia molto questa moda modesta.
    Conosco alcune donne che anche preferiscono questa moda – come io. Credo che si possa prendere il buono e imparare la virtù anche da altre culture. Cosa ne pensate voi?
    Vi saluto di cuore nella Divina Volontà, in Gesù e Maria
    Irmengard Haslinger, Vienna, Austria

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