Scontro Iran-Israele: oltre la “nebbia di guerra”

Giungono notizie discordanti, come è normale in questi casi, dopo l’operazione realizzata dall’Iran questa notte. L’Iran ha dichiarato che l’operazione è stata coronata da pieno successo e che è stata distrutta una importante base dell’intelligence israeliana (probabilmente coinvolta nell’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco) e la base aerea di Nevatim  (che ospiterebbe caccia F-35) e che sarebbe la base dalla quale sono partiti gli aerei israeliani che hanno attaccato appunto Damasco l’1 aprile.

Sarebbero stati lanciati almeno 300 vettori missilistici,  fra droni, missili cruise e missili balistici (185 droni, 36 cruise, 110 missili balistici). Alcune voci parlano anche dell’utilizzo di missili ipersonici (almeno 7), arma che l’Iran afferma di possedere.  L’attacco combinato è stato condotto in modo sofisticato, calcolando i tempi  di attraversamento dello spazio aereo che separa l’Iran da Israele in modo da creare un effetto di saturazione degli arrivi dovuto alla sincronizzazione fra vettori che viaggiano con velocità molto diverse.

La forte attività di “jamming” israeliana e l’accecamento della rete GPS non hanno probabilmente avuto efficacia piena perché i droni iraniani (come le loro copie russe, i Geran) hanno già dimostrato di essere particolarmente resistenti all’azione di disturbo elettronico (chiedere agli ucraini…!).

Israele afferma che il 99% dei razzi sono stati abbattuti e che solo quattro lanci sono stati efficaci. Ha anche affermato che vi è stato un solo ferito e dei lievi danni a una base aerea (senza specificare quale). Ma si noti che ha attentamente vietato di diffondere immagini delle basi colpite.

Vi sono altre due affermazioni importanti: l’Iran ha reso noto che considera conclusa l’operazione, condotta in base all’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite, di risposta all’assassinio dei suoi funzionari e generali causato dall’attacco israeliano a Damasco dell’1 aprile, ma ha anche affermato che se Israele dovesse rispondere con un attacco sul suolo iraniano  la contro-risposta iraniana sarà questa volta molto più dura. Teniamo conto che l’Iran possiede centinaia di migliaia di missili e droni  e che potrebbe non avere utilizzato le armi più potenti di cui dispone in vista di una possibile escalation.

Biden ha invitato Israele a non rispondere militarmente e ha affermato che occorre dare una risposta diplomatica; a tal fine ha anche affermato che convocherà il G7 per elaborare una risposta “diplomatica” comune e unitaria.   In sostanza ha dichiarato che gli USA  non si lascerebbero coinvolgere in una guerra Israele/Iran totale.

Netanyahu ha detto che Israele risponderà, ma, a mio parere, in modo piuttosto flebile e non troppo convinto.

 

LE MIE IPOTESI SUI FATTI E SU CIO’ CHE ACCADRA’

  1. A) L’Iran aveva fatto capire che avrebbe risposto, ha, in altre parole, “telefonato” la sua risposta, sulla falsariga di quanto fece dopo l’assassinio del generale Soleimani, quando avvisò, indirettamente, gli USA di quali basi sarebbero state colpite, permettendo agli americani di far scendere i soldati nei rifugi sottoterra e di non avere vittime dirette. Trump rinunciò, non a caso, a qualsiasi ritorsione. Adesso, probabilmente, l’Iran non ha comunicato l’obiettivo che avrebbe colpito, ma ha fatto ampiamente capire ad Israele che la sua risposta sarebbe stata limitata, contenuta, pur senza essere puramente simbolica.

 

  1. B) L’attacco iraniano non aveva un significato militare, ma politico e simbolico, ed è stato rivolto più al suo interno e al mondo islamico in generale che non ad Israele. La parte ideologicamente attiva e più devota sul piano religioso della popolazione iraniana e in particolare l’area delle forze armate dei Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione, etc., sono la base di appoggio fondamentale della Repubblica Islamica e la classe dirigente attuale avrebbe rischiato una grave perdita di consenso se si fosse lasciata umiliare da Israele senza rispondere, soprattutto in un momento in cui si inizia a pensare al dopo Kamhenei (con Raisi, un “falco”, possibile e probabile successore).

 

  1. C) L’attacco si spiega anche alla luce dei movimenti in corso nel mondo islamico per la conquista della leadership morale a livello mondiale. La crisi dell’Arabia Saudita, vocata storicamente a questo ruolo, è molto profonda: la leadership non si può comprare con i petroldollari ed è stata compromessa dai lunghi anni di sudditanza e infeudamento di Ryad agli Stati Uniti e, indirettamente, a Israele. Negli anni della guerra contro lo Yemen pare che i sauditi siano ricorsi per i bombardamenti dello stato nemico anche a piloti israeliani e vi sono informazioni (e filmati) che riferiscono di atomiche tattiche (forse bombe al neutrone) fornite da Israele all’Arabia Saudita  e usate contro gli Houti.  In Arabia Saudita, come in molti altri paesi  islamici sunniti, vi è un grave scollamento, da quando è scoppiata la guerra a Gaza, fra masse popolari ed élite al potere.  La cerchia al potere è compromessa da sempre con USA e Israele e non ha fatto nulla di concreto per aiutare i palestinesi a Gaza.

Discorso analogo  vale per la Turchia che, dal 7 ottobre, ha lanciato roboanti accuse a Israele, ma ha continuato a commerciare con Israele fornendole tutto il petrolio che lo stato ebraico compra dall’Azeirbagian e ogni altro bene, fra i quali il filo spinato che i sionisti usano nei territori occupati.  Anche le sanzioni introdotte recentemente sono una finzione perché le importazioni turche verso Israele continueranno attraverso paesi di scambio intermedi.  La  consueta doppiezza di Erdogan, il suo continuo giocare su più tavoli stanno frustrando la sua ambizione a un ruolo guida di tutto l’Islam, ciò anche perché lo stava declinando in modo sfacciatamente neo-ottomano (ed è notoria l’ostilità araba, e saudita in particolare,  per tutto ciò che ricorda la dominazione turca).

l’Iran è l’unico stato che non si è subordinato agli USA e a Israele e che da decenni lotta per stabilire un “asse della resistenza” (fondamentalmente scita) mirato a una lenta, ma inesorabile, espulsione degli USA dal Medio Oriente  e a un ridimensionamento/sconfitta strategica di Israele (sconfitta più politica ed esistenziale che militare).

Né va dimenticato che Israele stesso, con la scomposta risposta al 7 ottobre e con il genocidio che sta attuando a Gaza (di una cecità politica strabiliante) ha compromesso per sempre la possibilità di avere un ruolo egemonico riconosciuto su tutto il Medio Oriente, infeudando a sé i paesi sunniti, ciò che era previsto dagli “Accordi di Abramo”.

 

  1. D) Il punto più importante mi pare comunque un altro: con il bombardamento l’Iran ha stabilito una nuova equazione di deterrenza; sulla scia della strategia sperimentata per vent’anni da Hezbollah in Libano, ogni attacco di Israele deve essere seguito da una risposta simmetrica o asimmetrica della Resistenza. L’abitudine ormai sedimentata a considerare cosa scontata che Israele possa violare la sovranità dei paesi vicini bombardandoli indiscriminatamente, uccidendo scienziati o ufficiali, scatenando rivolte e proteste, appoggiando gruppi terroristici (l’Isis in Siria), sabotando strutture pubbliche o militari è venuta meno. Da adesso è chiaro che le linee rosse potranno essere violate con maggior difficoltà.

 

  1. E) Va notato che l’Iran ha fatto sorvolare dai suoi droni diverse città e istituzioni, fra le quali Gerusalemme e il palazzo della Knesset (il parlamento israeliano). Questi lanci ovviamente non avevano lo scopo di colpire (e infatti sono solo passati sopra gli edifici) ma di far comprendere che l’Iran può colpire qualunque luogo in Israele.
  2. F) Si stima che Israele abbia speso 1,4 miliardi di dollari per abbattere i droni e i missili iraniani. I droni lanciati dall’Iran hanno un costo molto inferiore: anche questa leva fa parte della nuova equazione: di fronte ad armi a basso costo in grado di eludere il costoso e sofisticato sistema antiaereo israeliano, l’intera strategia di contenimento dell’IDF va in pezzi. E non si dimentichi che l’Iran può lanciare attacchi dieci volte più intensi di quello di questa notte e mantenerlo in continuità per molto tempo.

 

  1. G) Ora si tratta di aspettare e vedere se Israele sarà fedele alla dichiarazione che ha rilasciato a caldo di una sua certa risposta all’attacco. Ma è importante un’ultima osservazione: l’attacco significa soprattutto -almeno a parer mio- che l’Iran è già in possesso di testate nucleari (probabilmente non più di una dozzina).  Ovviamente questo è ufficialmente negato ed è sottoposto a una “negabilità plausibile”, ma dopo la rottura dell’accordo  sul nucleare operata da Trump su istigazione di Israele (accordo che l’Iran stava scrupolosamente rispettando) i persiani hanno capito che qualunque loro sforzo di normalizzare la situazione con gli USA, e, di riflesso, con Israele, era comunque vano senza una sua resa completa. Ha capito che Israele semplicemente non può tollerare e odia metafisicamente qualsiasi stato che si modernizzi, cresca militarmente, raggiunga i vertici della scienza e dello sviluppo tecnologico e non sia sottomesso completamente al controllo anglo-sionista.  Un po’ come la Russia dopo il tradimento degli accordi di Minsk, così l’Iran ha rinunciato ad un’intesa fra pari, fondata sul reciproco riconoscimento, con gli USA.  Da diversi anni infatti Israele, oltre la retorica dei vertici politici che gridano ciclicamente che l’Iran sta per avere l’arma atomica, ha in realtà il serio dubbio non che in futuro l’avrà o potrebbe averla, ma che già la possegga.   Ha il dubbio dico perché il Mossad è tutt’altro che onnipotente, come ama far credere, e ignora molti elementi delle attività di ricerca e sviluppo militare più riservate svolte dall’IRGC. La sicurezza della risposta dell’Iran, l’intensità della risposta stessa, dimostrativa e spettacolare oltre al più o meno grave successo concreto  (che è irrilevante perché a livello di infowar Israele ha i mezzi per far credere , soprattutto all’interno, che l’attacco è fallito ed è stato completamente bloccato), il monito agli USA a rimanere fuori da questo scontro, la strana timidezza degli USA stessi e l’invito a Israele a non rispondere, fanno pensare che qualcuno sappia che in Medio Oriente ormai si hanno almeno due potenze nucleari.

L’Iran dopo la stipulazione dell’accordo con Obama per un po’ ha forse sinceramente creduto che fosse possibile liberarsi dal cappio delle sanzioni e tornare alla normalità rinunciando all’atomo militare e aveva applicato scrupolosamente le clausole dell’accordo. L’insincerità e inaffidabilità americana con la rottura unilaterale da parte di Trump hanno pietrificato una giusta convinzione: che con gli “anglo”, fino a che saranno controllati e soggiogati da Sion, e infiltrati a livello governativo dalla “Israel lobby”, non si può contare su accordi onesti.  A questo punto rimanere sotto sanzioni spietate pur avendo onorato l’accordo è diventato beffa inaccettabile -stante le non piccole difficoltà economiche e sociali interne che vive l’Iran a causa delle sanzioni- ed è diventato un rischio calcolato accettabile arrivare all’atomo militare, specie di fronte a un Israele armato di almeno 80 ogive nucleari (qualcuno dice addirittura 200) che minaccia apertamente con suoi ministri di usarle contro i civili di Gaza  o contro qualunque avversario esistenziale.

 

  1. H) Israele finora ha sempre applicato la teoria del “cane pazzo” di Dayan per intimidire gli avversari reali o potenziali, facendo loro immaginare di essere pronto a qualunque azione in caso di minacce alla sua esistenza. Ma questo atteggiamento alla lunga fa percepire l’arma atomica dell’avversario non più come un semplice strumento di deterrenza a vocazione difensiva, ma come uno strumento potenzialmente offensivo. Solo un Iran atomico (ma anche un Egitto e un’Arabia Saudita arrivati all’atomo militare) potranno in effetti portare alla stabilizzazione del Medio Oriente. Fino all’attacco di ieri tutti pensavano che Israele fosse il solo stato in Medio Oriente (ma in realtà nel mondo) che poteva permettersi di infrangere la legalità internazionale, il diritto di guerra, tutte le convenzioni esistenti  senza alcuno scrupolo e senza mai subire sanzioni. Da ieri le cose sembrano essere cambiate.

L’Iran opera come soggetto politico razionale e clausewitziano: la guerra deve essere la continuazione della politica con altri mezzi. Il fine deve essere politico, razionale e credibile. E il fine, in ultima istanza, è una vera e piena sovranità, senza la quale tutto è perduto.

Israele deve rassegnarsi ad agire a sua volta come soggetto politico razionale ed equilibrato e rinunciare al suo eccezionalismo messianico e talmudico, alla sua doppia morale che lo spinge compulsivamente a credere che gli debba essere concesso ciò che è interdetto agli altri stati.

 

  1. I) Due ultime considerazioni. Russia e Cina non possono permettersi un Iran sconfitto, distrutto o sottomesso agli USA perché è anello essenziale dell’area BRICS, snodo fondamentale delle risorse petrolifere che confluiscono in Cina, stato di primo livello in campo militare (ma non solo) che sta integrandosi economicamente e militarmente sempre di più con la Russia e che aprirà nuove possibilità di comunicazione lungo l’asse nord-sud. E’ prossimo a ricevere i Su-35   da superiorità aerea e in caso di guerra totale con Israele e gli USA  è certissimo che riceverebbe un prezioso sostegno soprattutto dalla Russia (intelligence, rilevamenti satellitari, sistemi d’arma, munizioni, materie prime,…). Con la Cina ha un accordo da 400 mld di dollari in essere. Con un Iran sostenuto attivamente da Russia e Cina né Israele, né gli USA, né i due stati insieme possono nulla, esauriti da due anni di guerra in Ucraina e da sei mesi di guerra (o infanticidio) a Gaza, con svariate centinaia di mezzi corazzati distrutti o danneggiati.

 

Certo le nostre sono ipotesi e solo quello che accadrà sul campo ci dirà se sono corrette o meno.  Ma l’egemone sta tramontando (perché ha usato male e in modo  predatorio la sua egemonia), è di fatto in una bancarotta “congelata”, è militarmente obsoleto, le sue portaerei sono più un ghiotto bersaglio che uno spauracchio, i problemi sociali interni che ha sono spaventosi. Israele ha problemi diversi, non ultimo la natura artificiale della appartenenza nazionale  di molti dei suoi cittadini, una gran parte dei quali ha doppio passaporto e comode e sicure possibilità di vita in paesi più normali. Si è letto che solo oggi sono attese 50.000 partenze di israeliani in fuga verso paesi esteri dall’aeroporto di Tel Aviv.

L’arte suprema è saper perdere: Israele potrebbe restituire le alture del Golan alla Siria, le zone ancora occupate al Libano; far nascere un vero stato palestinese e favorirne uno sviluppo prospero e la modernizzazione tornando almeno ai confini precedenti il 1967 e lasciando tornare le centinaia di migliaia di palestinesi cacciati con la Nakba del 1948 e del 1967;  stabilire rapporti di rispetto e collaborazione con tutti i vicini.   Tutto ciò non è solo un sogno, è davvero possibile, ma implica l’abbandono da parte di Israele del falso messianismo talmudico, dell’eccezionalismo razzista che ne è figlio e l’accettazione della eguaglianza originaria con ogni altro uomo e popolo. Implica, in ultima istanza, il pentimento, il riconoscimento delle proprie colpe, una vera conversione a Nostro Signore Gesù Cristo, vero e unico Re e Salvatore.  Ma per questo non occorrono e non basterebbero tutte le bombe del mondo; per questo occorre solo molta preghiera, incessante e profonda, da parte di tutti i cristiani di buona volontà.

 

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