Le radici “teologiche” delle violenze dell’esercito israeliano a Gaza

A Gaza non è in corso il primo genocidio della storia, ma è in corso il primo genocidio in diretta sui social media e sulle televisioni di tutto il mondo. Se l’Occidente, completamente prono e sottomesso agli interessi politico-militari di Israele, è riuscito a stendere una cortina fumogena su quanto sta accadendo, manipolando i brevi servizi televisivi e vedendo schierati i giornali quasi totalmente a favore della narrativa israeliana, nel resto del mondo le televisioni mandano lunghi e quotidiani servizi che mostrano in tempo reale i bombardamenti incessanti e le violenze dell’IDF contro i civili, contro le migliaia di donne e bambini  che vengono uccisi, mutilati, ustionati e portati a una lenta morte per fame e per sete. Ogni infamia è stata commessa e mostrata sfacciatamente al mondo dagli stessi canali, dai social media  di pubblico accesso utilizzati dai civili e dai soldati israeliani. Non raramente sono proprio i soldati che sono entrati a Gaza a postare filmati e foto delle violenze e delle torture che infliggono ai palestinesi: così abbiamo dovuto vedere soldati israeliani che urinano sul volto di cadaveri palestinesi o che prendono a calci con violenza il corpo dei nemici uccisi; abbiamo visto anziane che agitavano fazzoletti bianchi freddate dai cecchini mentre camminavano verso le zone nelle quali era stato intimato loro di andare; abbiamo visto bambini mutilati, accecati, tremanti per lo shock delle esplosioni, ridotti a essere poco più di uno scheletro dal blocco completo dei rifornimenti alimentari e delle forniture d’acqua da parte di Israele; abbiamo visto quotidianamente fosse comuni riempirsi di cadaveri di migliaia di civili, adulti e  bambini; abbiamo visto giovani soldati israeliani vantarsi con i compagni di aver ucciso un vecchio nel suo letto a sangue freddo e senza motivo; abbiamo visto i bulldozer israeliani dissotterrare e straziare con i cingoli i corpi dei caduti palestinesi. Potremmo continuare a lungo  questo elenco di abusi, di violenze gratuite, di insensate scelleratezze compiuti dall’esercito dell’ “unica democrazia in Medio Oriente”, ma questo elenco senza fine rischierebbe di rimanere inesplicabile. La domanda quindi che si impone è quale sia la psicologia  dei soldati e dei civili israeliani che  compiono ed assistono entusiasti a questo infame spettacolo quotidiano di tutte le più abiette  turpitudini che un esercito occupante possa realizzare? Da quali premesse culturali e antropologiche proviene una simile capacità di odiare e di infliggere dolore a bambini di 3 o 4 anni, ad esempio, o a ragazzini di 11 anni, a donne anziane, ad handicappati sulla sedia a rotelle, a donne incinte?

Una risposta sta nel crescente numero di soldati, ma soprattutto di ufficiali e di alti ufficiali che operano nell’IDF, ma che prima di entrare nell’esercito hanno frequentato delle particolari scuole di Talmud-Thorà sotto la guida di rabbini fanatici e ultrasionisti che li formano per circa un anno prima dell’inizio della carriera militare. In queste scuole viene loro inculcata la necessità della più grande durezza anche verso i civili, viene loro spiegato, presumibilmente, che è coerente con la “halakhah”, ovvero con la tradizione morale ebraica, con la legge quale interpretata dal Talmud, compiere azioni  che sul piano formale vanno contro il diritto internazionale o il comune diritto di guerra. Ciò porta probabilmente molti dei soldati israeliani che hanno frequentato queste scuole a non considerare come “peccati” in senso religioso le violenze che compiono contro i civili, ma, in alcuni casi, a considerarle  come azioni meritevoli. In altre parole chi esce da queste scuole non è difficile immaginare che si senta impegnato in una sorta di guerra santa del bene contro il male, trovandosi in una situazione psicologica dove viene meno la possibilità anche solo di dubitare della giustezza della propria posizione, qualunque violenza o crimine si sia commesso.  Se i palestinesi con cui combatto non sono più percepiti come avversari legittimi, ma come il nemico assoluto, come una pura incarnazione del male, che senso ha interrogarsi sul grado di violenza che gli infliggo? Essi a rigore per gli ultrasionisti hanno probabilmente perso anche il titolo di “esseri umani”, venendo percepiti come insetti o animali pericolosi da  votare allo sterminio.

Un interessante articolo uscito sulla stampa main stream italiana svela i retroscena di queste particolari scuole. Va letto prestando attenzione alle parti che ho sottolineato: l’abisso di perversità belliche al quale stiamo assistendo da sei mesi  cessa di essere inintelligibile e diventa anzi fin troppo comprensibile nelle sue ragioni.

(da La Stampa)  «È la lotta tra il bene e il male, siamo bloccati nello stesso posto e solo il più forte sopravviverà». Il rabbino Yishai Tzur insegna nell’Accademia di preparazione militare Bnei David di Eli. È seduto nell’aula della scuola, circondato da libri. Al di là delle finestre l’insediamento di Eli.

«Un ragazzo che si arruola a 18 anni non si è ancora posto le domande profonde su cosa significhi essere ebreo e servire l’esercito, sul perché è necessario fare parte della Difesa: uccidi sennò ti uccideranno, sul perché Israele deve essere forte, perché non abbiamo un altro posto dove andare. Perciò qui costruiamo un legame in loro tra Dio e l’esercito, e così costruiamo la società che vogliamo. Perché abbiamo una luce da portare nel mondo. È per noi una questione di moralità, che oggi, soprattutto in questa guerra è la lotta del bene contro il male».

L’Accademia Bnei David è stata la prima scuola di preparazione militare in Israele. È stata fondata nel 1988 a Eli dai due rabbini Eli Sadan e Yi’gal Levinstein per incoraggiare i giovani religiosi-sionisti ad assumere ruoli apicali nell’esercito in un momento in cui i militari segnalavano un calo nella motivazione delle reclute. Oggi è parte vitale dell’insediamento, che ha più rabbini per metro quadrato di qualsiasi altro in Cisgiordania. Molti tra gli insegnanti, gli amministratori e gli studenti vivono a Eli, tra caravan dei nuovi coloni arrivati e grandi progetti edilizi per l’allargamento della colonia in cui oggi vivono un totale di 4500 persone.

Uno dei fondatori, il rabbino Eli Sadan è una figura controversa in Israele: è da molti considerato la più importante e influente figura della comunità religiosa sionista degli ultimi trent’anni, ed è visto dai più liberali come un religioso militarizzato che forma i suoi studenti per aumentare il peso del sionismo religioso nella politica e nell’esercito. È a lui che si deve l’impatto che oggi ha il sionismo religioso nell’esercito e l’aumento delle scuole premilitari.

Nato a Budapest nel 1948, Sadan, dopo il trasferimento in Israele, ha prestato servizio nella Brigata paracadutisti, ha studiato per 13 anni a Yeshivat Merkaz Harav, e poi ha fondato l’accademia. Da lì, negli anni, ha diffuso la sua influenza. Sebbene, infatti, il sionismo religioso onorasse il servizio militare, i soldati che sostenevano il sionismo religioso raramente diventavano ufficiali: non solo l’esercito era distante da quelle posizioni, ma pochi ufficiali consideravano i ragazzi della yeshivah validi per crescere nell’esercito.

Sadan ha trovato la formula: un anno preparatorio che unisse lo studio della religione all’addestramento psicologico e fisico prima della leva, per aiutare i soldati religiosi a diventare ufficiali senza perdere la propria identità, considerando cioè il servizio militare come una grande mitzvah (editto ebraico). «Prestare servizio nell’esercito è un dovere civile – ha detto – ma anche una grande mitzvah della Torah». All’inizio, trentacinque anni fa, Sadan aveva promosso il suo piano ad alcuni diplomati delle scuole superiori, ai loro genitori e ai vertici dell’esercito, che accettarono di posticipare di un anno il servizio di leva obbligatorio delle reclute interessate, mentre finanziavano il programma di studi.

Di tutti gli studenti dell’Accademia Bnei David, usualmente 500, circa e il 40% diventa ufficiale o entra a far parte di unità combattenti d’élite, tra gli ex studenti ci sono il generale Avi Bluth, comandante delle forze armate della divisione Giudea-Samaria, cioè le forze di occupazione in Cisgiordania, i capi delle brigate Givati ed Efraim nel Nord del Paese, e il ministro Bezalel Smotrich, molto vicino al rabbino Sadan, che ha vinto anche il Premio Israele – la più alta onorificenza civile del Paese – per il suo contributo all’istruzione. Oggi in Israele ci sono più di 50 scuole pre-militari, per un totale di tremila studenti, secondo studi accademici negli ultimi vent’anni il numero di ufficiali sionisti-religiosi nell’esercito ha visto un enorme aumento e da quando è iniziata la guerra le richieste per iscriversi alla scuola si sono moltiplicate, e il peso del sionismo religioso nell’esercito è sempre più significativo.

 

L’Accademia e la guerra a Gaza 

In un filmato del 2019, il preside della scuola, il rabbino Eliezer Kashtiel parlando dei palestinesi li aveva definiti «geneticamente inferiori» ritenendo «necessario che fossero ridotti in schiavitù». L’altro fondatore dell’Accademia, il rabbino Yi’gal Levinstein l’anno scorso ha dichiarato che i palestinesi debbano «sentirsi minacciati ancor prima di agire». Sostenendo la necessità di continuare a costruire insediamenti e allargare quelli esistenti, ha detto «si fermeranno se costruiamo un nuovo insediamento dopo ogni attacco terroristico e se le loro famiglie vengono esiliate a Gaza».

Non c’era stata la strage del 7 ottobre, non era iniziata la guerra in corso. Oggi, che le lezioni preparano i soldati che la combatteranno, il rabbino Yishai Tzur ha le idee molto chiare: «Gaza è un simbolo per noi. Nei miei sogni i palestinesi dovrebbero andarsene tutti, ne sarei molto felice, ma credo lo faranno». Ha imparato dai testi che Gaza «è sempre stata un luogo duro per gli ebrei, e questa – dice – è solo la continuazione di una guerra che va avanti da qualche migliaio di anni, che oggi è anche una guerra in cui Israele non deve discutere né internamente né con gli alleati».

«Se cominciassimo a discutere se i nostri metodi siano giusti o meno, ci fermeremmo. Le cose nell’esercito, invece, devono essere molto chiare. Ci sono i buoni e i cattivi. Se fai parte dei buoni, vinci. Se invece cominciamo a farci domande su tutto, sui civili, sulla povera gente a Gaza, su cosa ne penserà il mondo, ci bloccheremo e dovremo prenderci cura di due milioni di persone. Invece dobbiamo andare avanti e vincere».

La settimana scorsa il ministro della Difesa Yoav Gallant ha visitato l’accademia. Quindici ex studenti sono morti a Gaza, e Gallant è andato a Eli a discutere con i giovani «dell’importanza di bilanciare il servizio militare con gli obblighi religiosi», così recita una nota del suo ufficio stampa. Gli studenti dell’accademia religiosa sionista, ha detto, sono la prova che «è possibile tenere un’arma in una mano e un libro (di studi ebraici) nell’altra».

Ha detto loro che Israele darà la caccia a Hamas «ovunque, in tutto Israele e in tutto il Medio Oriente» e che la guerra a Gaza è sia l’inizio che la fine di un’era, un viaggio che «ci guiderà per gli anni a venire e il modo in cui vivremo in Medio Oriente». Ha ricordato agli studenti che studio e lotta sono i due ambiti che garantiscono il futuro dello Stato di Israele, e che in entrambi c’è la garanzia della sua protezione: «Penso che la fede e lo studio della Torah siano uno dei fondamenti più importanti del popolo di Israele, e quando vedo che avviene insieme a simili eccellenze sul campo di battaglia, voglio dirvi che come ministro sono orgoglioso che ci siano soldati come voi nell’Idf».

Il rabbino Yishai Tzur sostiene che la guerra a Gaza, il numero delle vittime civili, le critiche che circondano la crisi umanitaria in atto nella Striscia, non abbiano generato nei suoi studenti nuove domande. Nessun interrogativo. Per lui, ed è questo che insegna agli studenti dell’Accademia che andranno al fronte, non è necessario interrogarsi sul destino dei civili, nemmeno troppo sul diritto internazionale. «Quando gli americani hanno sconfitto i giapponesi, hanno fatto qualcosa di nuovo», dice evocando la Seconda Guerra Mondiale, l’atomica, Hiroshima e Nagasaki. «Durante la guerra succedono cose atroci. Per noi è duro bombardare uccidere, sapere che possono morire di fame. Ma quello che vedo è che Israele sta prendendo il controllo e che dobbiamo andare avanti».

L’influenza del sionismo religioso nell’esercito ha molto a che fare col destino di Gaza. Nel disimpegno dalla Striscia, nel 2005, le forze armate evitarono di schierare soldati sionisti religiosi perché ritenevano che probabilmente si sarebbero rifiutati di rimuovere gli insediamenti ebraici. E non c’è dubbio che il disimpegno abbia costituito una ragione importante della radicalizzazione di una parte del movimento dei coloni, a cui gli studenti delle scuole di preparazione militare come quella di Eli fanno capo.

Già nella guerra a Gaza del 2008-2009 tra le truppe circolavano opuscoli rabbinici in cui si diceva che non si doveva cedere «nemmeno un millimetro» di terra e che la battaglia a volte richiedeva crudeltà verso il nemico. Era stato così anche nella guerra a Gaza del 2014, quando in un ordine per la brigata Givati, un’unità di fanteria d’élite, il colonnello Ofer Winter aveva scritto: «La storia ci ha scelto per guidare la lotta contro il terrorista nemico di Gaza che maledice, diffama e abomina il Dio di Israele», lettera che come riporta un’inchiesta di Reuters, concludeva con una citazione biblica che promette protezione divina ai guerrieri d’Israele sul campo di battaglia.

 

Fonte: https://www.lastampa.it/esteri/2024/03/13/news/israele_rabbini_uccidete_sionisti_religiosi_eli-14142018/?ref=LSHA-BH-P4-S4-T1

 

Fonte secondaria : https://www.centrostudifederici.org/i-criminali-messianici-nella-terra-di-cristo-re/

 

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