In memoria di Rachel Corrie

(articolo di Rossella Ahmad) 16 Marzo 2003, la 24enne Rachel Corrie, attivista statunitense dell’ISM, viene uccisa da un bulldozer corazzato dell’esercito israeliano mentre prova ad impedirgli di distruggere un’abitazione palestinese a Rafah, Gaza.

Il 16  marzo del 2003 è una di quelle date che hanno segnato la mia vita, in maniera indelebile. Ero seduta alla mia scrivania, traducendo notizie per il sito di informazione su Medioriente e Palestina che aprimmo a partire dall’intifada del 2000. Da al-Jazeera cominciarono ad arrivare le prime immagini: una ragazza dell’International Solidarity Movement era stata appena maciullata da un bulldozer dell’esercito israeliano. Il suo nome era Rachel Corrie, il luogo era Rafah nella striscia di Gaza, la circostanza era il tentativo da parte di Rachel di ergersi come baluardo, con il suo fragile corpo, contro la demolizione della casa di un medico palestinese.

Rachel era a Gaza da due anni e mezzo e riferiva dello stillicidio di vite umane che l’occupazione reclamava a partire dal settembre 2000. Con il gruppo di giovani volontari occidentali dell’ISM,  sì impegnò nella “protezione passiva” dei palestinesi, ritenendo che la stessa presenza degli internazionali potesse scongiurare l’assassinio dei civili e la demolizione arbitraria delle loro abitazioni: solo nella cittadina di Rafah, 12 a settimana. Di ogni mese. Per due anni.

Rachel non aveva riflettuto sul fatto che avesse a che fare con degli orchi. Perché solo gli orchi delle favole non si arrestano di fronte ad una mite ragazza disarmata e sorridente. Gli orchi delle favole, invece,  quella ragazza la spingono a terra e passano sul suo corpo con le possenti ruote di un caterpillar per ben due volte, triturandone il corpo con le lame. A sera, Rachel era sul tavolo di un ospedale di Rafah, un lenzuolo bianco imbrattato di sangue a coprirne il corpo martoriato. Palestinese tra i palestinesi, un sudario bianco a rivestire brandelli di carne umana. Una vita. Uno spirito indomabile. Un cuore che batteva nel lato giusto del petto. Una esistenza dedicata alla cura dei deboli, spazzata via con noncuranza dal Moloch che imperversa in Palestina. Il mese dopo sarebbe toccato ad un altro giovane internazionale che quel giorno, come tutti noi, piangeva Rachel : Tom Hurndall, colpito alla testa da un cecchino mentre faceva scudo con il suo corpo a tre scolaretti palestinesi.  In entrambi i casi, la solita sequela di bugie e poi l’assoluzione degli assassini: ” in un’area di guerra nessun civile è civile e gli amici dei terroristi ( i giovani dell’ISM, per Israele) agiscono a loro rischio e pericolo”.

E ci sarebbe molto da meditare su questa giustificazione criminale utilizzata dall’esercito occupante alla luce di ciò che avviene oggi a Gaza.

Questa notte, mentre mi ripassavano nella mente le immagini di quel giorno, il volto sorridente, il megafono, la terra sporca di sangue, le urla dei compagni, Tom, Vittorio e tutti coloro che hanno lasciato la vita in Palestina, mi chiedevo cosa fosse  accaduto al memoriale di Rachel che la gente di Rafah le dedicò. Distrutto anch’esso senza dubbio, assieme alla mite ma indomabile  popolazione di quella striscia di terra  – patria di rifugiati di Haifa e del monte Carmelo – che Rachel si era caricata sulle sue esili spalle. La sua eredità è immensa. Il senso di responsabilità che  ha trasferito su di noi ancor  più. Cercheremo di esserne degni, sempre.

( postato dal canale Telegram di Francesca Quibla)

 

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